Donare gli organi: gesto di civiltà

26 febbraio 2010
Aggiornamenti e focus

Donare gli organi: gesto di civiltà



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di Marco Malagutti

Era il 2001 quando Adriano Celentano nel suo show televisivo dell'epoca si schierò apertamente contro la legge sulla donazione degli organi. Una presa di posizione che fece scalpore, ma che, con il dibattito seguito, ha sicuramente rappresentato una svolta nella storia dei trapianti in Italia. A ricordare questo episodio è Giuseppe Remuzzi, Direttore del Dipartimento di Medicina Specialistica e dei Trapianti degli Ospedali Riuniti di Bergamo, che ne fu protagonista e che sulla prima pagina del Corriere della Sera rivolse al Molleggiato un lungo appello invitandolo a rivedere le proprie posizioni riguardo alla legge sui trapianti. Da quel momento «la situazione è sicuramente migliorata. Basti pensare che se nel 2001 l'Italia era l'ultimo paese, quanto a trapianti, oggi è secondo soltanto alla Spagna in Europa. Ma ancora non basta» sottolinea Remuzzi. «Se infatti in Spagna il dato è di 33 donatori per milione di abitanti, in Italia si parla di 23 per milione di abitanti. Un divario significativo, che dobbiamo assolutamente colmare». La situazione è, comunque in continuo miglioramento.

Nel 2009 le donazioni sono aumentate del 6,7% e hanno reso possibile il 7% di interventi chirurgici in più, circa 200. Con liste d'attesa ancora troppo affollate, su circa 9mila persone iscritte, poco più di tremila all'anno ricevono l'organo di cui hanno bisogno per sopravvivere. Trecento pazienti muoiono prima che sia stato possibile procurarlo. Gli altri attendono in media tre anni per un rene. Una situazione a macchia di leopardo in Italia. «C'è molta differenza tra regione e regione» conferma Remuzzi. «La situazione è ottima al nord, grazie in particolare a Veneto, Piemonte e Trentino, con la Lombardia in media nazionale ma piuttosto deludente. Poi si apre una voragine se si considerano i dati nel Sud Italia che è lontanissimo dai dati del Nord. Anzi - aggiunge amaro il nefrologo - lontanissimo dai paesi civili». Secondo Remuzzi «non è accettabile che esista un tasso di rifiuti fisiologici. Si deve arrivare alla consapevolezza "universale" che donare un organo è un dovere civico». Come migliorare la situazione?

Una norma appena inserita nel decreto mille proroghe che prevede di indicare in modo facoltativo sulla carta d'identità il si o il no alla donazione, non convince Remuzzi: «Il fatto è - spiega - che non cambia granché la situazione attuale». Oggi esiste la legge del silenzio-assenso in base alla quale la mancata dichiarazione è considerata assenso, un consenso presunto ma informato. Ma al momento della morte se una persona non lo ha fatto, i familiari hanno diritto a opporsi all'espianto degli organi. Una prima versione del "milleproroghe" prevedeva che l'indicazione sul documento elettronico dovesse essere obbligatoria, in modo da accrescere la consapevolezza dei cittadini sul tema dei trapianti. La versione approvata congiuntamente da maggioranza e opposizione ha invece previsto che l'indicazione sia facoltativa. Si è passati dal "si deve" al "si può", ma «con un verbo si salvano molte vite» puntualizza il nefrologo lombardo. «Il no alla donazione di un rene significa due dializzati per tutta la vita, ogni fegato è negato a un adulto e a un bambino». Numeri che fanno riflettere.

Un altro aspetto che ha colpito molto l'opinione pubblica di recente è, poi, quello delle cosiddette "donazioni samaritane". Il fatto di cronaca riguarda tre persone, una donna torinese di 30 anni e due lombardi che hanno chiesto di poter cedere gratuitamente i reni mettendoli a disposizione della collettività. Senza parenti a cui donare l'organo ma solo per pura e semplice solidarietà. «Si tratta - spiega Remuzzi - di un fenomeno già in voga negli Stati Uniti, dove se si vuol donare un rene a un proprio parente ma non si è compatibili, si accede alla lista dei donatori. Trovato quello compatibile si mette comunque a disposizione il proprio, innescando una catena di donazioni. Non a caso negli Stati Uniti i trapianti con il rene di un donatore vivente sono ormai il 50% di tutti i trapianti. In Italia non si supera il 6%» Un atto da incoraggiare, perciò secondo Remuzzi, ma con tutte le cautele del caso. Il rischio dell'interesse o del lucro, per esempio, è dietro l'angolo. «Ma in Italia - conclude il nefrologo - il livello di controllo su questo tipo di operazioni è molto alto. Ci si può fidare».



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