Epidemia di cesarei

16 giugno 2006
Aggiornamenti e focus

Epidemia di cesarei



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Tra i dati epidemiologici che contano per definire lo stato di salute di un paese la mortalità infantile e perinatale (durante e immediatamente dopo il parto) è fondamentale. Così come la mortalità tra le puerpere. Val la pena di ricordare che uno dei più grandi clinici del XIX secolo, Ignaz Semmelweiss, deve la sua grandezza proprio alla scoperta della causa, e dei rimedi, delle febbri puerperali che decimavano le donne di Vienna. Detto questo, com'è la situazione italiana? Viene in soccorso un rapporto dell'Istituto centrale di statistica (Istat) intitolato "Gravidanza, parto e allattamento al seno". Rapporto che ha fatto parlare soprattutto per la questione dei parti cesarei, ai quali in Italia si ricorrerebbe troppo spesso. Sul parto chirurgico è da molto tempo intervenuta l'Organizzazione mondiale della sanità, che sulla base di stime epidemiologiche ha indicato nel 15% la percentuale "normale" di parti. In Italia, invece, la media sarebbe del 35%, la più alta di tutta l'Unione Europea (media:23,7%). La percentuale si riferisce al periodo 2004-2005, e mostra una crescita rispetto alla rilevazione precedente, 1999-2000, che si fermava al 29,9%. Il parto cesareo non è "il babau", ma ha indicazioni abbastanza precise: complicanze durante la gravidanza (la preeclampsia, per esempio), condizioni particolari della gestante e, statisticamente, l'età della partoriente, soprattutto se alla prima gravidanza (primipara). Tanto è vero che in Italia la stima dell'OMS è già stata ritoccata al rialzo, 20%, perché l'età media delle gravide è superiore a quella dei paesi africani o asiatici. Resta quindi da capire perché questa differenza, che si articola anche in altri aspetti. La percentuale di cesarei è più elevata al Sud, dove raggiunge anche il 45,4%, e nelle Isole, fino al 40,8%. Poi, è più frequente nelle gravide attempate, ma anche sotto 25 anni il dato è pari un terzo giusto (32,9%). Infine, da non trascurare, il ricorso è più frequente nelle case di cura private, dato che potrebbe combaciare con la maggiore diffusione di strutture private nel Mezzogiorno e con il fatto che la Regione con minori parti cesarei (19%) è il Friuli Venezia Giulia, dove il parto nelle strutture private è frequente come i corvi bianchi.

Eccesso di cautela? Maggiori rimborsi?


Dati un po' sorprendenti, che hanno indotto proteste e denunce. "La situazione italiana nei confronti dei cesarei è veramente iniqua: oltre a doppiare abbondantemente i limiti consigliati dall'Organizzazione mondiale della sanità, abbiamo anche Regioni come la Campania nella quale il 50%% dei parti avviene con il cesareo. Di contro l'epidurale non viene offerta alle partorienti per motivi economici" ha detto Francesca Merzagora, presidente dell'Osservatorio nazionale sulla salute della donna (Onda). In effetti, non è che tutti questi interventi siano superflui, tanto è vero che anche l'indagine conferma come la media si alzi tra le donne che hanno incontrato una gravidanza difficile. Ma, certo, se fossero tutti determinati da ragioni di salute di madre e nascituro, sarebbe il caso di avviare un'indagine a tappeto per capire che cosa non va nella salute delle donne italiane. E' vero che qualche vantaggio il cesareo lo offre, per esempio non vi è la possibilità di traumi per il neonato, possibili con quello naturale. "Su 1.000 bambini meno dello 0.5 presenta danni neurologici legati al parto (paralisi cerebrali) . In Inghilterra la percentuale di parti eseguiti chirurgicamente è più bassa, pari al 21%, ma lì purtroppo ben 2 bambini su 1.000 presentano danni cerebrali conseguenti a parti naturali disastrosi" ha detto Claudio Giorlandino, ginecologo e presidente della Società italiana di diagnosi prenatale e medicina materno fetale. Vero, ma forse il confronto con la Gran Bretagna non è il più indicativo, visto che lì la rete di assistenza al parto attraversa una crisi gravissima, che va dalla carenza di personale a quella di letti, con tanto di migrazioni da una contea all'altra. E resta il fatto che il rimborso che la struttura sanitaria (pubblica o privata) riceve dalla Regione è superiore per il parto chirurgico rispetto a quello naturale.

E con le ecografie...


C'è il sospetto, insomma, che si stia esagerando, magari anche soltanto esagerando in cautela; questo sembra anche il parere del Ministro che, in un'intervista, ha dichiarato di voler promuovere il parto naturale, anche attraverso l'inserimento dell'anestesia epidurale tra i Lea (livelli essenziali di assistenza) cioè tra le prestazioni che tutti i servizi sanitari regionali hanno l'obbligo di garantire, se necessari. Si attendono iniziative, quindi, e concrete, visto che il ministro ha detto che è in preparazione "una legge sulla tutela dei diritti della partoriente, la promozione del parto fisiologico, la salvaguardia della salute del neonato". In effetti, togliere al parto naturale gli aspetti più traumatici, come il dolore, sembra la scelta migliore per evitare prestazioni improprie. Che, peraltro, non si limitano a questo aspetto: anche con le ecografie non si guarda per il sottile. Le linee guida nazionali ne indicano tre, di norma, il 78,8% delle gravide ne ha fatte di più, il 29% addirittura almeno 7, ma il dato sale al Mezzogiorno: 32,4%. Tutti casi limite? Non è che invece il business ha la sua parte?

Maurizio Imperiali



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