23 aprile 2004
Aggiornamenti e focus
Con cautela ma si può
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Grazie al perfezionamento della terapia antiretrovirale la sopravvivenza delle persone sieropositive aumenta, fortunatamente. Questo però comporta alcuni nodi da risolvere, per esempio procreazione e contraccezione, o la necessità o meno di continuare a usare il contraccettivo di barriera quando entrambi i partner sono sieropositivi.
Quest'ultimo punto è uno di quelli che più spesso il medico si trova ad affrontare. La stessa International Aids Foundation ha messo in linea sul suo sito materiale formativo per i medici destinato a chiarire questi dubbi. Infatti, è sbagliato ritenere che se entrambi i partner sono stati infettati l'uso del profilattico possa essere superfluo. Infatti come per quasi tutti gli agenti infettivi, e per i virus soprattutto, si assiste a continue mutazioni, non tutte di grande entità, ma molte in grado di rendere l'HIV resistente ai trattamenti. E' intuibile che se uno dei due partner è affetto da una forma resistente ai farmaci che assume l'altro, l'arrivo di questo virus potenziato può compromettere i risultati ottenuti. Ma anche senza arrivare a mutazioni che danno resistenza agli antiretrovirali, c'è la possibilità che il ceppo preesistente e quello nuovo ricombinino il loro patrimonio genetico, dando luogo a un altro sottotipo ancora. Questo non solo complica il lavoro delle residue difese immunitarie, ma rende più ardua una delle imprese fondamentali nella lotta all'AIDS, cioè la realizzazione di un vaccino. Infatti quanti più sottotipi esistono di un virus, tanto più difficilmente si riesce a comprendere in un vaccino tutte le caratteristiche necessarie a suscitare una risposta immunitaria adeguata. In sostanza lo stesso meccanismo per cui è difficile realizzare un vaccino contro l'epatite C e impossibile trovarne uno per il raffreddore. Continuare l'uso del profilattico, dunque, è importante sul piano personale e collettivo.
La trasmissione dell'HIV dipende dai livelli plasmatici del virus o viremia: più sono elevati più forte è la possibilità che si verifichi. In effetti la terapia antiretrovirale riduce la viremia (che si misura in copie dell'RNA virale per millilitro). Dalla viremia dipende anche il livello del virus nei fluidi genitali (sperma, secrezioni vaginali). Alcune condizioni, però, possono facilitare il contagio eterosessuale anche in presenza di bassa viremia, in particolare la presenza di altre malattie a trasmissione sessuale (condilomi, sifilide...) che facilitano il contatto tra l'HIV e la circolazione sanguigna. Tenuti presenti questi fattori, il concepimento è possibile con rischi tollerabili sia per il partner non sieropositivo sia per il nascituro, un'aspirazione che secondo alcune indagini ha poco meno del 30% dei pazienti in trattamento. Ovviamente la questione ha due aspetti: se da un parte il concepimento è possibile, a certe condizioni e con alcune precauzioni, dall'altra proprio per questo vanno evitate le gravidanze inaspettate che con grande probabilità si tradurrebbero nella trasmissione verticale dell'infezione (da madre a figlio). Si devono usare i contraccettivi di barriera, spirale compresa. Sembra anche che assumere la pillola non influisca sull'andamento della malattia.
Tutelare il partner
Quanto al concepimento, è evidente che è più rischioso, ma qui la decisone spetta alla coppia. Innazitutto nel partner infettato si deve ridurre il più possibile la viremia e, se presenti, curare tutte le altre malattie a trasmissione sessuale. Quello che è certo è che per salvaguardare il partner non sieropositivo la soluzione migliore sono le tecniche di fecondazione assistita, soprattutto quelle con iniezione intracitoplasmatica dello spermatozoo, soprattutto quando è l'uomo il portatore dell'infezione. Quando è la donna, la questione è più semplice, in quanto è possibile ricorrere direttamente all'inserimento dello sperma attraverso la cervice uterina con una siringa - un'operazione che la coppia può effettuare da sola - o ricorrendo al medico per la fecondazione intrauterina. Meno sicuro, ma comunque possibile, il ricorso ai rapporti non protetti, però limitati ai giorni di massima fertilità della donna e attuando, nel partner non sieropositivo, una somministrazione profilattica di antiretrovirali prima o dopo i rapporti non protetti.
...e il nascituro
La trasmissione perinatale, riguarda nei paesi industrializzati il 14-33% dei figli madri sieropositive. Il contagio avviene principalmente al momento della nascita (circa il 75% dei casi) e negli altri casi si produce nelle ultime settimane di gravidanza. I principali meccanismi sono le microtrasfusioni di sangue materno attraverso la placenta dovute alle contrazioni uterine oppure il contatto tra il neonato e le mucose genitali della partoriente. La misura più efficace è ovviamente la terapia antiretrovirale, che mantiene bassa la viremia materna e previene altresì che il virus si fissi nel bambino. Gli antiretrovirali possono essere somministrati, anche se non tutti, sia alla madre sia al bambino (in singola dose). Altre misure utili sono quelle che riducono il contatto tra il bambino e le secrezioni o peggio il sangue materni. L'uso dell'episiotomia (incisione della vagina) e del forcipe vanno evitati, a meno che non possano ridurre significativamente il travaglio (e quindi il contatto). In molti casi si ricorre al parto cesareo prima che avvenga la rottura delle membrane (a 38 settimane) ma non è detto che questo offra vantaggi alle donne che non hanno una viremia rilevabile. In ogni caso, associare parto cesareo e terapia antiretrovirale aggressiva riduce al 2% la trasmissione del virus.
Maurizio Imperiali
Salute oggi:
...e inoltre su Dica33:
Precauzioni sempre
Quest'ultimo punto è uno di quelli che più spesso il medico si trova ad affrontare. La stessa International Aids Foundation ha messo in linea sul suo sito materiale formativo per i medici destinato a chiarire questi dubbi. Infatti, è sbagliato ritenere che se entrambi i partner sono stati infettati l'uso del profilattico possa essere superfluo. Infatti come per quasi tutti gli agenti infettivi, e per i virus soprattutto, si assiste a continue mutazioni, non tutte di grande entità, ma molte in grado di rendere l'HIV resistente ai trattamenti. E' intuibile che se uno dei due partner è affetto da una forma resistente ai farmaci che assume l'altro, l'arrivo di questo virus potenziato può compromettere i risultati ottenuti. Ma anche senza arrivare a mutazioni che danno resistenza agli antiretrovirali, c'è la possibilità che il ceppo preesistente e quello nuovo ricombinino il loro patrimonio genetico, dando luogo a un altro sottotipo ancora. Questo non solo complica il lavoro delle residue difese immunitarie, ma rende più ardua una delle imprese fondamentali nella lotta all'AIDS, cioè la realizzazione di un vaccino. Infatti quanti più sottotipi esistono di un virus, tanto più difficilmente si riesce a comprendere in un vaccino tutte le caratteristiche necessarie a suscitare una risposta immunitaria adeguata. In sostanza lo stesso meccanismo per cui è difficile realizzare un vaccino contro l'epatite C e impossibile trovarne uno per il raffreddore. Continuare l'uso del profilattico, dunque, è importante sul piano personale e collettivo.
Un figlio? Si può!
La trasmissione dell'HIV dipende dai livelli plasmatici del virus o viremia: più sono elevati più forte è la possibilità che si verifichi. In effetti la terapia antiretrovirale riduce la viremia (che si misura in copie dell'RNA virale per millilitro). Dalla viremia dipende anche il livello del virus nei fluidi genitali (sperma, secrezioni vaginali). Alcune condizioni, però, possono facilitare il contagio eterosessuale anche in presenza di bassa viremia, in particolare la presenza di altre malattie a trasmissione sessuale (condilomi, sifilide...) che facilitano il contatto tra l'HIV e la circolazione sanguigna. Tenuti presenti questi fattori, il concepimento è possibile con rischi tollerabili sia per il partner non sieropositivo sia per il nascituro, un'aspirazione che secondo alcune indagini ha poco meno del 30% dei pazienti in trattamento. Ovviamente la questione ha due aspetti: se da un parte il concepimento è possibile, a certe condizioni e con alcune precauzioni, dall'altra proprio per questo vanno evitate le gravidanze inaspettate che con grande probabilità si tradurrebbero nella trasmissione verticale dell'infezione (da madre a figlio). Si devono usare i contraccettivi di barriera, spirale compresa. Sembra anche che assumere la pillola non influisca sull'andamento della malattia.
Tutelare il partner
Quanto al concepimento, è evidente che è più rischioso, ma qui la decisone spetta alla coppia. Innazitutto nel partner infettato si deve ridurre il più possibile la viremia e, se presenti, curare tutte le altre malattie a trasmissione sessuale. Quello che è certo è che per salvaguardare il partner non sieropositivo la soluzione migliore sono le tecniche di fecondazione assistita, soprattutto quelle con iniezione intracitoplasmatica dello spermatozoo, soprattutto quando è l'uomo il portatore dell'infezione. Quando è la donna, la questione è più semplice, in quanto è possibile ricorrere direttamente all'inserimento dello sperma attraverso la cervice uterina con una siringa - un'operazione che la coppia può effettuare da sola - o ricorrendo al medico per la fecondazione intrauterina. Meno sicuro, ma comunque possibile, il ricorso ai rapporti non protetti, però limitati ai giorni di massima fertilità della donna e attuando, nel partner non sieropositivo, una somministrazione profilattica di antiretrovirali prima o dopo i rapporti non protetti.
...e il nascituro
La trasmissione perinatale, riguarda nei paesi industrializzati il 14-33% dei figli madri sieropositive. Il contagio avviene principalmente al momento della nascita (circa il 75% dei casi) e negli altri casi si produce nelle ultime settimane di gravidanza. I principali meccanismi sono le microtrasfusioni di sangue materno attraverso la placenta dovute alle contrazioni uterine oppure il contatto tra il neonato e le mucose genitali della partoriente. La misura più efficace è ovviamente la terapia antiretrovirale, che mantiene bassa la viremia materna e previene altresì che il virus si fissi nel bambino. Gli antiretrovirali possono essere somministrati, anche se non tutti, sia alla madre sia al bambino (in singola dose). Altre misure utili sono quelle che riducono il contatto tra il bambino e le secrezioni o peggio il sangue materni. L'uso dell'episiotomia (incisione della vagina) e del forcipe vanno evitati, a meno che non possano ridurre significativamente il travaglio (e quindi il contatto). In molti casi si ricorre al parto cesareo prima che avvenga la rottura delle membrane (a 38 settimane) ma non è detto che questo offra vantaggi alle donne che non hanno una viremia rilevabile. In ogni caso, associare parto cesareo e terapia antiretrovirale aggressiva riduce al 2% la trasmissione del virus.
Maurizio Imperiali
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