La circoncisione previene l'HIV?

11 marzo 2005
Aggiornamenti e focus

La circoncisione previene l'HIV?



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Circoncisione uguale prevenzione HIV? La questione è controversa e dibattuta da tempo. Molte ricerche del resto, l'ultima pubblicata su Lancet, hanno sostenuto un minor rischio di contrarre l'HIV negli uomini circoncisi. Ma non mancano gli scettici. Un gruppo di ricercatori britannici ha realizzato una review sistematica di tutti gli studi pubblicati fino a oggi sull'argomento. Del resto - dicono i ricercatori - vista l'enorme mortalità associata alla malattia, è ragionevole cercare di esplorare a pieno tutte le possibili misure preventive. Come dargli torto?

Il dibattito sulla circoncisione


Molti studi osservazionali - premettono i ricercatori britannici - da un decennio almeno parlano di un ruolo della circoncisione nel rischio di contrarre la malattia. Ma perché? La questione sarebbe biologica non comportamentale, nel senso che la pelle che viene eliminata sarebbe quella che il virus sfrutta per entrare nell'organismo. Il prepuzio, infatti, è ricco di cellule bersaglio come i linfociti di tipo CD4+ e in particolare le cellule di Langerhans, assai suscettibili all'infezione da HIV. Senza queste cellule, il rischio di contrarre l'Aids è stato stimato 6,7 volte inferiore che in un uomo non circonciso. In più il prepuzio interno è ricoperto da una mucosa superficiale particolarmente suscettibile a lacerazioni e abrasioni, e conseguentemente a malattie veneree e all'infezione da HIV. Non tutti gli studi, però, sono così uniformi nelle conclusioni. Esistono, infatti evidenze di eterogeneità metodologica tra gli studi e anche la qualità è differente. La più rigorosa di queste ricerche è una metanalisi di 27 studi pubblicati sull'infezione da HIV, nella quale emerge con chiarezza un ruolo benefico della circoncisione. Non tutti sono d'accordo, però. I dubbi nascono dal fatto che l'intervento non conferisce alcun tipo di immunità verso altri agenti infettivi (sifilide e herpes per esempio), o che nessuno studio considera il fattore culturale o religioso. Eppure - dicono i detrattori - si tratta di un fattore decisivo perché induce comportamenti sessuali ben diversi e dunque occasioni di contagio più o meno numerose. Infine le ricerche finora effettuate non hanno ancora preso in considerazione il fattore intensità del virus, cioè la pericolosità di contagio di un sieropositivo che varia da un paziente all'altro e che influisce sulla trasmissione della malattia. Dall'analisi comparata degli studi, però, e soprattutto dalla valutazione della loro qualità i ricercatori concludono che, nonostante la provata efficacia dell'intervento in termini preventivi, le evidenze attuali non permettono di considerare la circoncisione un intervento di salute pubblica. Per dirla con Massimo Galli, direttore dell'Istituto malattie infettive e tropicali all'Università di Milano, recentemente intervistato da Panorama sull'argomento: "la circoncisione non dà la sicurezza totale di essere protetti dal rischio, l'eventualità di infettarsi rimane. A maggior ragione, quindi, una sua applicazione a fini epidemiologici non è proponibile".

Marco Malagutti



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