14 novembre 2007
Aggiornamenti e focus
Protocolli interrotti
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Che le cose non prendessero una buona piega lo si era intuito già nello scorso settembre quando i primi risultati dello studio Step su un vaccino per l'HIV, avevano dato esiti sconfortanti e avevano condotto a una prima interruzione del protocollo. Ora nel corso di un meeting svoltosi a Seattle c'è stato un ulteriore sviluppo e le cose non sono granché migliorate. A riferirlo è il New York Times che, non a caso, parla di esito confuso e di sviluppi problematici. Il fatto è, spiegano sul quotidiano statunitense, che il rischio di rimanere infettati in alcuni casi è aumentato. Non esattamente l'obiettivo del vaccino. Ma come è stato possibile?
Il vaccino, prodotto dalla Merck, è costituito da una miscela di tre adenovirus di tipo 5, che fungono da vettori di tre geni da "presentare" al sistema immunitario. Ebbene le analisi preliminari dello studio STEP sulla metà del campione hanno portato a 24 casi di infezione tra i 741 volontari che hanno ricevuto il vaccino contro i 21 casi tra i 762 che hanno ricevuto il placebo. Ed era la parte di studio da cui ci si attendeva la risposta migliore, in quanto i volontari avevano bassi livelli pre-esistenti di adenovirus 5. Numeri che evidenziano come sia fallito sia l'obiettivo di prevenzione dell'infezione, sia quello di riduzione della carica virale nei soggetti vaccinati rispetto ai placebo. Le cause di questo risultato, peraltro, ancora sfuggono. L'ipotesi è che proprio l'adenovirus possa aver attivato il sistema immunitario in maniera tale da rendere certi recipienti più suscettibili a diventare sieropositivi. E questo fenomeno potrebbe essere legato a fattori casuali o, comunque, non biologici. L'analisi dei risultati dello studio, però, nel frattempo è proceduta e le cose, se possibile, sono peggiorate. Si è, infatti, passati a 49 infettati nel gruppo dei vaccinati contro 33 nel gruppo placebo. Una differenza ancora più estesa che ha portato Anthony Fauci, direttore del National Institute of Allergy and Infectious Diseases, partner della Merck nel trial, a definire le nuove analisi "deludenti e confondenti". Già, perché si trattava di uno dei vaccini più promettenti, in un quadro generale piuttosto sconfortante. In compenso, però, qualche buona nuova in tema di vaccino anti-HIV, arriva da uno studio canadese, pubblicato su Plos Pathogens.
I ricercatori canadesi, hanno, infatti, identificato un nuovo potenziale obiettivo molecolare per combattere l'infezione da HIV. Sembra che l'infezione sia in grado di riattivare i resti di antichi virus, i retrovirus endogeni umani o HERV, che hanno la bellezza di cinque milioni di anni e sono divenuti parte del genoma di tutte le cellule umane. L'idea, così, è che questi retrovirus possano essere l'obiettivo del vaccino, uccidendo le cellule infettate dall'HIV. Uno dei problemi, come noto, nella realizzazione di un vaccino per la malattia, è che l'HIV è in continua mutazione. Gli HERV potrebbero così rappresentare un buon obiettivo da sondare e una via alternativa perché il sistema immunitario colpisca le cellule infettate dal virus. Il sistema immunitario fatica a tenere sotto controllo l'HIV, dice uno dei ricercatori. Un'altra infezione, invece, quella da citomegalovirus viene in genere controllata per tutta la durata della vita. Ebbene le cellule T specifiche contro gli HERV hanno molto più in comune con le cellule T che uccidono il citomegalovirus che non con quelle che uccidono l'HIV. E se fossero più efficaci anche nel controllare quest'ultimo? L'ipotesi per ora è in una fase molto preliminare, ma potrebbe essere una via per creare nuove linee d'attacco contro l'HIV. Per un vaccino che sfiorisce, perciò, forse ce n'è uno nuovo all'orizzonte.
Marco Malagutti
Salute oggi:
...e inoltre su Dica33:
Per un protocollo interrotto...
Il vaccino, prodotto dalla Merck, è costituito da una miscela di tre adenovirus di tipo 5, che fungono da vettori di tre geni da "presentare" al sistema immunitario. Ebbene le analisi preliminari dello studio STEP sulla metà del campione hanno portato a 24 casi di infezione tra i 741 volontari che hanno ricevuto il vaccino contro i 21 casi tra i 762 che hanno ricevuto il placebo. Ed era la parte di studio da cui ci si attendeva la risposta migliore, in quanto i volontari avevano bassi livelli pre-esistenti di adenovirus 5. Numeri che evidenziano come sia fallito sia l'obiettivo di prevenzione dell'infezione, sia quello di riduzione della carica virale nei soggetti vaccinati rispetto ai placebo. Le cause di questo risultato, peraltro, ancora sfuggono. L'ipotesi è che proprio l'adenovirus possa aver attivato il sistema immunitario in maniera tale da rendere certi recipienti più suscettibili a diventare sieropositivi. E questo fenomeno potrebbe essere legato a fattori casuali o, comunque, non biologici. L'analisi dei risultati dello studio, però, nel frattempo è proceduta e le cose, se possibile, sono peggiorate. Si è, infatti, passati a 49 infettati nel gruppo dei vaccinati contro 33 nel gruppo placebo. Una differenza ancora più estesa che ha portato Anthony Fauci, direttore del National Institute of Allergy and Infectious Diseases, partner della Merck nel trial, a definire le nuove analisi "deludenti e confondenti". Già, perché si trattava di uno dei vaccini più promettenti, in un quadro generale piuttosto sconfortante. In compenso, però, qualche buona nuova in tema di vaccino anti-HIV, arriva da uno studio canadese, pubblicato su Plos Pathogens.
...nuove ipotesi all'orizzonte
I ricercatori canadesi, hanno, infatti, identificato un nuovo potenziale obiettivo molecolare per combattere l'infezione da HIV. Sembra che l'infezione sia in grado di riattivare i resti di antichi virus, i retrovirus endogeni umani o HERV, che hanno la bellezza di cinque milioni di anni e sono divenuti parte del genoma di tutte le cellule umane. L'idea, così, è che questi retrovirus possano essere l'obiettivo del vaccino, uccidendo le cellule infettate dall'HIV. Uno dei problemi, come noto, nella realizzazione di un vaccino per la malattia, è che l'HIV è in continua mutazione. Gli HERV potrebbero così rappresentare un buon obiettivo da sondare e una via alternativa perché il sistema immunitario colpisca le cellule infettate dal virus. Il sistema immunitario fatica a tenere sotto controllo l'HIV, dice uno dei ricercatori. Un'altra infezione, invece, quella da citomegalovirus viene in genere controllata per tutta la durata della vita. Ebbene le cellule T specifiche contro gli HERV hanno molto più in comune con le cellule T che uccidono il citomegalovirus che non con quelle che uccidono l'HIV. E se fossero più efficaci anche nel controllare quest'ultimo? L'ipotesi per ora è in una fase molto preliminare, ma potrebbe essere una via per creare nuove linee d'attacco contro l'HIV. Per un vaccino che sfiorisce, perciò, forse ce n'è uno nuovo all'orizzonte.
Marco Malagutti
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