28 settembre 2005
Aggiornamenti e focus
Fin troppo resistenti
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Per un certo periodo di tempo, la preoccupazione dei clinici sembrava focalizzata sulle infezioni nosocomiali, cioè quelle che colpivano i pazienti ricoverati, per lo più a livello delle vie respiratorie. Ora l'attenzione si è spostata verso il territorio, in particolare sulle forme di resistenza agli antibiotici riscontrata nelle infezioni, sempre delle vie respiratorie, che si contraggono nelle comunità, cioè in famiglia, a scuola, in ufficio, eccetera.Il fenomeno, diffuso in natura in quanto risposta del microbo a una pressione selettiva, ha a livello sanitario un impatto notevole che si traduce in un fallimento della terapia, un aumento della morbilità e dei costi. Impatto che si amplifica in caso di particolari malattie, come la tubercolosi, la malaria e l'Aids.Non è possibile prevenire del tutto la resistenza batterica, tuttavia si può limitarne l'aumento attuando una sorveglianza epidemiologica locale, usando correttamente gli antibiotici disponibili e introducendo molecole nuove.
Al primo obiettivo risponde uno studio italiano, PROTEKT, durato tre anni (2002-2004), presentato a Milano in conferenza stampa. Ha coinvolto 39 centri e i test sono stati eseguiti su campioni batterici ottenuti da secrezioni di pazienti colpiti da infezione. I ceppi osservati appartenevano a Staphylococcus pneumoniae (quello della polmonite comunitaria), S. pyogenes (quello delle faringotonsilliti), H. influenzae, Moraxella catharralis e S. aureus. Macrolidi e beta-lattamici sono gli antibiotici presi in considerazione. I dati raccolti hanno evidenziato un aumento delle resistenze, tant'è che il 40% dei ceppi di S. pneumoniae è insensibile ai macrolidi, un'incidenza doppia rispetto al 1995; anche il 20% dei ceppi di H. influenzae sono in grado di sintetizzare un enzima, la beta-lattamasi, che neutralizza i beta-lattamici (penicillina e simili). Sembra non essere interessata dal fenomeno la telitromicina, un ketolide introdotto nel 2002 che è in grado di superare, per meccanismo d'azione, i fenomeni di resistenza attuati dai batteri.
Per capire come si sia arrivati alla situazione attuale è utile ripercorrere la storia della terapia antibatterica che dagli anni '30 a oggi ha collezionato più di 100 molecole, per passare da 500 casi ogni 100 mila abitanti. La cosa che stupisce, tuttavia, è che, mentre nel decennio '80-'90 sono stati introdotti una trentina di principi nuovi, nel decennio successivo e negli ultimi 5 anni sono stati soltanto una decina. La spiegazione di questo rallentamento è duplice, da una parte c'è maggiore attenzione verso malattie come l'Hiv, dall'altra una probabile sensazione di sicurezza di aver sconfitto molte malattie batteriche. Quindi una minor spinta a trovare principi antibiotici per uso clinico.A questo punto si è arrivati anche per un uso, a volte arbitrario da parte del paziente, a volte poco mirato da parte del medico, di farmaci antibiotici. Evitare il fai-da-te è una delle regole di base, l'assunzione di un antibiotico deve fare seguito a una diagnosi del medico, perché anche una recidiva non è detto che sia provocata dallo stesso patogeno, quindi non bisogna riutilizzare la cura precedente né usarne uno arbitrariamente. Il dosaggio e la durata del ciclo vanno rispettate, interrompere o regolare da sè le dosi favorisce il fenomeno di resistenza, come pure l'uso eccessivo di creme e detergenti con sostanze antibatteriche.
Simona Zazzetta
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Monitoraggio locale
Al primo obiettivo risponde uno studio italiano, PROTEKT, durato tre anni (2002-2004), presentato a Milano in conferenza stampa. Ha coinvolto 39 centri e i test sono stati eseguiti su campioni batterici ottenuti da secrezioni di pazienti colpiti da infezione. I ceppi osservati appartenevano a Staphylococcus pneumoniae (quello della polmonite comunitaria), S. pyogenes (quello delle faringotonsilliti), H. influenzae, Moraxella catharralis e S. aureus. Macrolidi e beta-lattamici sono gli antibiotici presi in considerazione. I dati raccolti hanno evidenziato un aumento delle resistenze, tant'è che il 40% dei ceppi di S. pneumoniae è insensibile ai macrolidi, un'incidenza doppia rispetto al 1995; anche il 20% dei ceppi di H. influenzae sono in grado di sintetizzare un enzima, la beta-lattamasi, che neutralizza i beta-lattamici (penicillina e simili). Sembra non essere interessata dal fenomeno la telitromicina, un ketolide introdotto nel 2002 che è in grado di superare, per meccanismo d'azione, i fenomeni di resistenza attuati dai batteri.
Per resistere alla resistenza
Per capire come si sia arrivati alla situazione attuale è utile ripercorrere la storia della terapia antibatterica che dagli anni '30 a oggi ha collezionato più di 100 molecole, per passare da 500 casi ogni 100 mila abitanti. La cosa che stupisce, tuttavia, è che, mentre nel decennio '80-'90 sono stati introdotti una trentina di principi nuovi, nel decennio successivo e negli ultimi 5 anni sono stati soltanto una decina. La spiegazione di questo rallentamento è duplice, da una parte c'è maggiore attenzione verso malattie come l'Hiv, dall'altra una probabile sensazione di sicurezza di aver sconfitto molte malattie batteriche. Quindi una minor spinta a trovare principi antibiotici per uso clinico.A questo punto si è arrivati anche per un uso, a volte arbitrario da parte del paziente, a volte poco mirato da parte del medico, di farmaci antibiotici. Evitare il fai-da-te è una delle regole di base, l'assunzione di un antibiotico deve fare seguito a una diagnosi del medico, perché anche una recidiva non è detto che sia provocata dallo stesso patogeno, quindi non bisogna riutilizzare la cura precedente né usarne uno arbitrariamente. Il dosaggio e la durata del ciclo vanno rispettate, interrompere o regolare da sè le dosi favorisce il fenomeno di resistenza, come pure l'uso eccessivo di creme e detergenti con sostanze antibatteriche.
Simona Zazzetta
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