16 febbraio 2007
Aggiornamenti e focus
Dubbi da dissolvere
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La storia si ripresenta puntuale tutti gli anni. Arriva l'influenza e insieme si ripropongono le polemiche sull'opportunità o meno di vaccinare. O meglio sull'opportunità di estendere la vaccinazione anche alle categorie non a rischio. L'obiettivo dichiarato del ministero della Salute per contenere i danni dell'influenza di quest'anno, è di almeno 15 milioni di vaccinazioni, meglio ancora 16. Il target è rappresentato per la maggior parte, circa 11 milioni, da ultrasessantacinquenni e il resto dalle altre categorie a rischio. Ma lo stesso ministero invita a non strafare visto la tendenza esagerata a rendere la vaccinazione antinfluenzale una immunizzazione di massa. E gli stessi esperti sono divisi sull'opportunità o meno di una vaccinazione generalizzata. Particolarmente significativo da questo punto di vista un'analisi appena pubblicata dal British Medical Journal e scritta da Tom Jefferson, della Cochrane Collaboration, che, senza mezzi termini, conclude che se si considerano solo le ricerche condotte in modo ineccepibile dal punto di vista metodologico, non esiste una base sufficiente per sostenere le politiche vaccinali così come vengono condotte attualmente. Possibile?
Non si tratta di una novità, già due precedenti review, pubblicate su Lancet, e sempre curate dal Centro Cochrane, che si batte per la medicina basata sull'evidenza, avevano sottolineato che esiste un abisso tra le politiche vaccinali e le prove scientifiche. Con particolare riguardo per la vaccinazione raccomandata dai Cdc a tutti i bambini sotto i due anni di età e del tutto inefficace. Gli studi, secondo il gruppo Cochrane, sono pochi e non esaustivi e in più aleggia l'ombra del conflitto di interessi. Nel suo commento pubblicato sul Bmj, Jefferson sottolinea quanti sforzi vengano condotti annualmente per produrre il vaccino e distribuirlo a determinate aree di popolazione. Ma a fronte di questi sforzi esiste un gap tra le linee di condotta attuate e le evidenze disponibili. Un gap che salta all'occhio se si cercano studi che testimonino efficacia, efficienza e sicurezza dei vaccini inattivati. Dove per efficacia si intende la misura della capacità del vaccino di prevenire l'influenza, e per efficienza quella di prevenire le infezioni respiratorie acute e le sindromi influenzali. Il nodo cruciale, secondo il ricercatore, è la potenziale confusione tra influenza e parainfluenza. Si tratta di due manifestazioni clinicamente indistinguibili, soprattutto nei periodi di picco della malattia, dal momento che si manifestano con gli stessi sintomi: febbre, raffreddore, tosse, mal di gola. L'effetto di questa confusione è che viene sovrastimato l'impatto dell'influenza e si sopravvaluta il ruolo dei vaccini. In molti casi, cioè, le persone si ammalano di influenza nonostante la vaccinazione perché in realtà soffrono di sindrome influenzale, causata da agenti infettivi diversi da quelli dell'influenza. E il vaccino è efficace solo sui virus di tipo A e B. Si complica così anche il compito dei clinici e diventa difficile prevedere l'impatto che avrà il nuovo virus. Mancano, rincara la dose Jefferson, adeguati sistemi di sorveglianza e vige una filosofia che ritiene sia meglio agire visto che non c'è tempo di avere i datiA?/?Z? ideali. Urgono, invece, ampi studi nei quali il vaccino sia confrontato a un placebo, quelli che ci sono, infatti, si basano su ricerche di piccole dimensioni. Le risorse ci sono, conclude Jefferson, si tratta di distribuirle in maniera più oculata.
Marco Malagutti
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Influenze o sindromi influenzali?
Non si tratta di una novità, già due precedenti review, pubblicate su Lancet, e sempre curate dal Centro Cochrane, che si batte per la medicina basata sull'evidenza, avevano sottolineato che esiste un abisso tra le politiche vaccinali e le prove scientifiche. Con particolare riguardo per la vaccinazione raccomandata dai Cdc a tutti i bambini sotto i due anni di età e del tutto inefficace. Gli studi, secondo il gruppo Cochrane, sono pochi e non esaustivi e in più aleggia l'ombra del conflitto di interessi. Nel suo commento pubblicato sul Bmj, Jefferson sottolinea quanti sforzi vengano condotti annualmente per produrre il vaccino e distribuirlo a determinate aree di popolazione. Ma a fronte di questi sforzi esiste un gap tra le linee di condotta attuate e le evidenze disponibili. Un gap che salta all'occhio se si cercano studi che testimonino efficacia, efficienza e sicurezza dei vaccini inattivati. Dove per efficacia si intende la misura della capacità del vaccino di prevenire l'influenza, e per efficienza quella di prevenire le infezioni respiratorie acute e le sindromi influenzali. Il nodo cruciale, secondo il ricercatore, è la potenziale confusione tra influenza e parainfluenza. Si tratta di due manifestazioni clinicamente indistinguibili, soprattutto nei periodi di picco della malattia, dal momento che si manifestano con gli stessi sintomi: febbre, raffreddore, tosse, mal di gola. L'effetto di questa confusione è che viene sovrastimato l'impatto dell'influenza e si sopravvaluta il ruolo dei vaccini. In molti casi, cioè, le persone si ammalano di influenza nonostante la vaccinazione perché in realtà soffrono di sindrome influenzale, causata da agenti infettivi diversi da quelli dell'influenza. E il vaccino è efficace solo sui virus di tipo A e B. Si complica così anche il compito dei clinici e diventa difficile prevedere l'impatto che avrà il nuovo virus. Mancano, rincara la dose Jefferson, adeguati sistemi di sorveglianza e vige una filosofia che ritiene sia meglio agire visto che non c'è tempo di avere i datiA?/?Z? ideali. Urgono, invece, ampi studi nei quali il vaccino sia confrontato a un placebo, quelli che ci sono, infatti, si basano su ricerche di piccole dimensioni. Le risorse ci sono, conclude Jefferson, si tratta di distribuirle in maniera più oculata.
Marco Malagutti
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