Preoccupati? Soprattutto, i polli

12 ottobre 2005
Aggiornamenti e focus

Preoccupati? Soprattutto, i polli



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Il quesito è sempre lo stesso: “Ci si deve preoccupare dell’influenza aviaria?”. I polli, e le anatre, senz’altro sì, soprattutto quelli allevati in Estremo Oriente; che analoghe preoccupazioni debbano avere donne e uomini è arduo da sostenere. E’ chiaro che una pandemia con milioni di morti è senz’altro più notiziabile, come si dice in gergo, che non i mesti resoconti degli scienziati che parlano di una vigile attesa degli sviluppi; ma la realtà è proprio questa. Non è una situazione soltanto italiana, è chiaro. Indicative, per esempio, le vicende degli Stati Uniti, dove il presidente Bush appare in televisione a dire che è pronto un piano di impiego delle forze armate per arginare l’epidemia (le stesse forze armate che hanno latitato a New Orleans). Le dichiarazioni presidenziali sono state spalleggiate dai Centers for Disease Control, che hanno detto due cose: a) la pandemia potrebbe causare milioni di vittime; b) la pandemia potrebbe essere imminente.
Peccato che contemporaneamente si siano avute le dichiarazioni di Michael Leavitt, il quale ha detto che ”a quanto mi riferiscono scienziati e medici il rischio è basso. Non è pari a zero, però è relativamente basso. In conclusione... l’epidemia di H5N1 potrebbe avvenire, ma probabilmente no. Se succedesse come paese non saremmo preparati come, del resto, nessun paese al mondo”. Leavitt è il ministro della Sanità degli Stati Uniti, e sta anche lui dalle parti della Casa Bianca.

Il virus è attivo dal 2003


C’è insomma la tendenza a una drammatizzazione che forse è funzionale a scopi politici, forse è solo un riflesso condizionato del “dopo 11 settembre”. In ogni caso non stupisce più che tanto che i 1200 tacchini abbattuti in Turchia diventino “migliaia di volatili” per il TG2 di domenica 9 ottobre. I dati certi, però, sono altri. Per cominciare, l’H5N1 è “in affari” dal 2003. Da allora ha effettivamente causato l’abbattimento di milioni di volatili, più spesso per motivi precauzionali che non per effettiva infezione. I casi di contagio interspecifico, cioè dal pollo all’uomo, sono stati in totale 100, tutti in Estremo Oriente, con 65 decessi.
Perché in Estremo Oriente? Perché lì i mercati di animali destinati all’alimentazione sono veri e propri reattori biologici, dove animali di tutte le specie convivono con misure igieniche, quando ci sono, insufficienti. Perché si realizzi una pandemia occorre però che il virus compia un’altra mutazione: quella che gli consenta di trasmettersi da uomo a uomo, senza la mediazione dell’animale. Finora, questa mutazione non c’è stata. Potrebbe esserci stata senza che i sistemi di sorveglianza l’abbiano registrata ma, per le ragioni esposte prima, pare poco probabile che sarebbe passata inosservata. Certamente prima o poi può succedere, soprattutto se non si interviene sulle condizioni che favoriscono la propagazione tra gli animali da cortile. E’ sempre il solito discorso: quando si tratta di malattie infettive è l’igiene pubblica la miglior prevenzione: fognature, sistemi di raccolta dei rifiuti, tutela delle acque potabili... Era così anche ai tempi del fondatore dell’epidemiologia moderna: John Snow, che tracciò l’epidemia di colera di Londra del 1848 studiando la mappa dell’acquedotto (e quell’epidemia riuscì a stroncare).

Farmaci utili? Inutili?


Un altro aspetto poco chiaro è il continuo parlare che si fa di antivirali, come se si trattasse di una panacea. In realtà, già da un mese, un articolo pubblicato da Lancet pone seri dubbi sull’efficacia di queste sostanze contro la possibile influenza aviaria. Ma anche contro quella umana, gli studi più rigorosi stimano l’effetto di queste sostanze nella riduzione di un giorno della durata della malattia, e in una riduzione dei sintomi. Il fatto che di due di queste molecole si facessero stock nei paesi del Sudest asiatico era interpretato come una misura determinata più che altro dal fatto che le capacità produttive di vaccini in loco erano molto scarse. Insomma, per fare qualcosa. L’articolo di Lancet non è stato smentito, anzi, è uscito uno studio, che è stato ripreso anche da Dica33, che parla di un aumento delle resistenze a un’altra classe di antivirali, gli adamantani. Forse sarebbe più immediatamente utile bloccare la caccia alla selvaggina migratoria, come chiesto dal portavoce dei Verdi, Alfonso Pecoraro Scanio. Infatti sono gli uccelli migratori, per ora, uno dei vettori più importanti dell’infezione. Evitare di abbatterli, e quindi di fermare qui il virus sembra sensato. Quanto al pollo sulla tavola, i rischi per ora non ci sono. Intanto perché il pollame in vendita qui è di provenienza nazionale, e poi perché il virus, nell’animale morto, dura al massimo 24 ore e comunque viene inattivato dalla cottura completa.
In sostanza, l’eventuale pandemia va tenuta presente, preparandosi a isolare gli eventuali primi casi, stringendo i tempi per quanto riguarda la preparazione del vaccino. Però quanto sia imminente il rischio non si sa ed è un po’ come il big one, il terremoto che prima o poi farà affondare la California, o almeno una sua parte. Intanto, in California, non sembra che stiano scappando tutti. Dai tempi della famosa “spagnola” le cose sono cambiate e non si è più così naif nelle difese. Come provano i casi del virus Ebola, di quello del Nilo e anche della SARS. Poteva esserci una pandemia anche in quei casi. Poteva, appunto.

Maurizio Imperiali



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