24 aprile 2008
Aggiornamenti e focus
La porfiria, questa sconosciuta
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Della pazzia di re Giorgio III di Inghilterra si sono occupati film e libri, il suo regno fu, infatti, funestato da attacchi di follia in pubblico fino alla rimozione dai pubblici uffici. Eppure la conclusione recente, confermata da uno studio di Lancet, è che la sua malattia non fosse di origine eminentemente psichiatrica, bensì che si trattasse di attacchi acuti di porfiria, una malattia metabolica ereditaria dovuta alla diminuita attività di uno degli enzimi della catena biosintetica dell'eme, uno dei costituenti dell'emoglobina. E come lui anche Van Gogh, il noto pittore olandese pare sia stato afflitto dalla stessa malattia. Ma al di là dei personaggi del passato che ne sono stati colpiti, oggi a soffrirne sono circa 300 italiani, in prevalenza donne (80%). Ma sono almeno 3mila i portatori del difetto genetico all'origine della patologia. Quelli noti almeno, perché, come ha specificato Maria Domenica Cappellini, del dipartimento di Medicina interna dell'Università degli Studi di Milano nel corso di una conferenza stampa, si tratta di una malattia rara, anche perché sotto diagnosticata.
Proprio la non diagnosi è il tratto caratteristico della malattia, un mancato riconoscimento che può avere conseguenze pesantissime. Non mancano i casi di operazioni inutili e nelle situazioni più estreme, di ricoveri in reparti psichiatrici perché malati immaginari. Il fatto è, ha spiegato la Cappellini in conferenza stampa, che i sintomi più eclatanti sono comuni anche ad altre patologie e sono rappresentati da forti dolori addominali, con possibile coinvolgimento della schiena e delle cosce e piuttosto spesso anche da nausea, vomito e costipazione. A scatenare l'attacco può essere l'assunzione di farmaci o alcol o fluttuazioni ormonali, tipica la situazione femminile di attacco acuto associato alle mestruazioni. Di fronte a un simile quadro si prescrivono antidolorifici o si diagnostica appendicite, rischiando interventi operatori inutili se non dannosi. Ma come si può diagnosticarla?
Per la diagnosi di un attacco acuto e l'identificazione del tipo di porfiria, sono necessari esami accurati su urine, sangue e feci eseguiti da un laboratorio con esperienza nel campo. Molto pochi per la verità. Gli esami misurano la concentrazione delle porfirine e dei loro precursori. Sono questi, infatti, gli elementi che si accumulano in chi è affetto dalla malattia. L'ideale sarebbe poter eseguire le indagini prima dell'inizio della sintomatologia, per poter intervenire opportunamente. Ed il modo più semplice è la raccolta di un campione di urine e la successiva esposizione alla luce per 30 minuti: se le urine virano verso un colore tipico, un rosso molto caratteristico definito rosso porto, il sospetto di porfiria acuta è molto forte. Una volta diagnosticati come portatori di porfiria si può essere informati su come evitare l'attacco acuto e si può iniziare precocemente la cura. Perché una cura esiste. Oltre, infatti, a sospendere gli agenti scatenanti o ad assumere sostanze zuccherine per ridurre la gravità dei sintomi, si può ricorre all'emina umana. In questo modo si sopperisce alla carenza di eme che è quella che determina l'accumulo delle sostanze chimiche (porfirine e precursori) necessarie per la sua produzione. La difficoltà principale, comunque, sta nella scarsa conoscenza della malattia, da parte dei medici di famiglia, che rappresentano il primo filtro, ma anche da parte dei medici specialisti. E se non è possibile riconoscerla la cura diventa inutile.
Marco Malagutti
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Sintomi comuni
Proprio la non diagnosi è il tratto caratteristico della malattia, un mancato riconoscimento che può avere conseguenze pesantissime. Non mancano i casi di operazioni inutili e nelle situazioni più estreme, di ricoveri in reparti psichiatrici perché malati immaginari. Il fatto è, ha spiegato la Cappellini in conferenza stampa, che i sintomi più eclatanti sono comuni anche ad altre patologie e sono rappresentati da forti dolori addominali, con possibile coinvolgimento della schiena e delle cosce e piuttosto spesso anche da nausea, vomito e costipazione. A scatenare l'attacco può essere l'assunzione di farmaci o alcol o fluttuazioni ormonali, tipica la situazione femminile di attacco acuto associato alle mestruazioni. Di fronte a un simile quadro si prescrivono antidolorifici o si diagnostica appendicite, rischiando interventi operatori inutili se non dannosi. Ma come si può diagnosticarla?
Diagnosi possibile ma complessa
Per la diagnosi di un attacco acuto e l'identificazione del tipo di porfiria, sono necessari esami accurati su urine, sangue e feci eseguiti da un laboratorio con esperienza nel campo. Molto pochi per la verità. Gli esami misurano la concentrazione delle porfirine e dei loro precursori. Sono questi, infatti, gli elementi che si accumulano in chi è affetto dalla malattia. L'ideale sarebbe poter eseguire le indagini prima dell'inizio della sintomatologia, per poter intervenire opportunamente. Ed il modo più semplice è la raccolta di un campione di urine e la successiva esposizione alla luce per 30 minuti: se le urine virano verso un colore tipico, un rosso molto caratteristico definito rosso porto, il sospetto di porfiria acuta è molto forte. Una volta diagnosticati come portatori di porfiria si può essere informati su come evitare l'attacco acuto e si può iniziare precocemente la cura. Perché una cura esiste. Oltre, infatti, a sospendere gli agenti scatenanti o ad assumere sostanze zuccherine per ridurre la gravità dei sintomi, si può ricorre all'emina umana. In questo modo si sopperisce alla carenza di eme che è quella che determina l'accumulo delle sostanze chimiche (porfirine e precursori) necessarie per la sua produzione. La difficoltà principale, comunque, sta nella scarsa conoscenza della malattia, da parte dei medici di famiglia, che rappresentano il primo filtro, ma anche da parte dei medici specialisti. E se non è possibile riconoscerla la cura diventa inutile.
Marco Malagutti
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