20 giugno 2008
Aggiornamenti e focus
Rarità da estinguere
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A differenze di quasi tutte le altre malattie, per quelle rare non si può ancora parlare di prevenzione, di diagnosi e tanto meno di trattamento. Mancano gli strumenti ma abbondano le difficoltà per i malati, per le famiglie e per chi se ne prende carico, che devono attendere per avere una diagnosi corretta o sono costretti ad affrontare viaggi per riuscire a ottenere una cura. Abbandonati un po' a loro stessi sono diventati malati orfani, colpiti da malattie orfane curabili con farmaci orfani, in quanto poco appetibili per il mercato. Tutto ciò non accade più davanti a occhi indifferenti: le autorità sanitarie da circa 30 anni hanno, infatti, iniziato a occuparsi del tema.
Nel 1983 negli Stati Uniti il Congresso ha approvato l'Orphan Drug Act (ODA) che, di fatto, favoriva lo sviluppo di farmaci orfani permettendo alle aziende di beneficiare dei crediti di imposta per i costi della ricerca clinica, di un finanziamento annuale per coprire i costi dei test clinici qualificati, una dispensa dal pagamento di tasse (circa 1 milione di dollari per domanda) e un periodo di esclusiva commerciale di 7 anni dopo che il farmaco orfano è stato approvato. Anche l'Unione Europea non è stata a guardare sollecitando gli stati membri ad adottare politiche simili con le aziende e ad attuare provvedimenti per migliorare la ricerca, l'informazione e l'educazione. Nel 1997, in Francia, l'Institut National de la Santé et de la Recherche Médicale (INSERM) e la Direction Générale de la Santé hanno fatto nascere la ORPHANET, un database di informazioni su 1.150 malattie rare. Per ognuna è stato redatto, da esperti europei, un breve testo informativo ed è disponibile un elenco di specifici centri di consulenza, di laboratori diagnostici, di progetti di ricerca in atto, di associazioni di pazienti, di farmaci orfani utili alla cura, nonché una serie di indirizzi di potenziale interesse, che rimandano a siti Internet nel mondo. Il coinvolgimento nel progetto di diversi paesi, tra cui lì'Italia, ha creato una rete virtuale e integrata di informazioni, servizi e altri dati pertinenti, all'interno della Comunità Europea. In Italia, nel 2001 l'Istituto Superiore di Sanità ha istituito il Centro nazionale malattie Rare (CNMR) e il Registro nazionale delle malattie rare nell'ambito della Rete Nazionale Malattie Rare con l'obiettivo di svolgere sia attività di ricerca scientifica sia di sanità pubblica a livello nazionale e internazionale. E recentemente, il ministero della sanità, rivedendo i livelli essenziali di assistenza ha incluso altre 109 malattie rare per le quali è prevista l'esenzione dal ticket per la diagnosi o il monitoraggio.
Se gli obiettivi sono stati raggiunti è ancora tutto da vedere, dicono gli esperti che hanno firmato diversi contributi e commenti pubblicati sul recente numero di The Lancet. A voler ben guardare, l'Europa non ha dato un grande apporto approvando negli ultimi sei anni solo 23 prodotti per le malattie rare contro i 340 farmaci per altre malattie. In più la ricerca e la documentazione a sostegno non erano in molti casi ferree e sempre sostenibili. Al punto che il disegno degli studi, la non randomizzazione, l'assenza di confronto erano inadeguati in nove casi su 18 analizzati. Le aree di maggior interesse restano l'oncologia e le malattie metaboliche, mentre nessun farmaco è stato approvato per malattie rare di natura neurologica, e respiratoria; il tutto con costi ancora troppo alti che gravitano sul paziente o sul servizio sanitario. Ne escono meglio gli Stati Uniti dove la Food and Drug Administration ha approvato 300 farmaci dal 1983 a oggi. Ma in generale la condizione di questa popolazione di pazienti resta critica. Uno studio italiano ha verificato che, su quasi 2000 bambini nati tra il 1985 e il 1997 con difetti congeniti del metabolismo, solo l'11% ha raggiunto l'età adulta. Permangono i ritardi nella diagnosi: prima di quella finale il 40% ne ha ricevuta una scorretta, gli altri non ne avevano avuta nemmeno una. Gli errori terapeutici e costi aggiuntivi diventano così inevitabili: il 16% si è sottoposto a chirurgia, il 33% non ha ricevuto le cure adeguate, il 25% ha affrontato viaggi in altre regioni per una diagnosi il 2% anche all'estero.
Pazienti alla riscossa
In realtà, concordano su Lancet tutti gli autori, la parte da leone in questo ambito la fanno le associazioni di pazienti e di familiari. Sono loro che in questi anni hanno portato la loro realtà sotto gli occhi dell'opinione pubblica e delle autorità. Hanno creato associazioni e reti di collaborazione tra esse, con un impegno sempre crescente, in alcuni casi coinvolgendo anche industrie e ricercatori, per favorire lo sviluppo dei farmaci orfani. Ma, avendo il polso della situazione reale e conoscendo le difficoltà sociali e sanitarie che devono affrontare questi pazienti, si sono fatti promotori di iniziative di sensibilizzazione e a volte di implementazione di servizi che prendano in carico persone che non hanno o non hanno più risorse sufficienti per sostenere i costi di malattie non ancora curabili. Forse la risposta più adeguata per risolvere il presente non sono solo farmaci.
Simona Zazzetta
Salute oggi:
...e inoltre su Dica33:
Governi sensibili
Nel 1983 negli Stati Uniti il Congresso ha approvato l'Orphan Drug Act (ODA) che, di fatto, favoriva lo sviluppo di farmaci orfani permettendo alle aziende di beneficiare dei crediti di imposta per i costi della ricerca clinica, di un finanziamento annuale per coprire i costi dei test clinici qualificati, una dispensa dal pagamento di tasse (circa 1 milione di dollari per domanda) e un periodo di esclusiva commerciale di 7 anni dopo che il farmaco orfano è stato approvato. Anche l'Unione Europea non è stata a guardare sollecitando gli stati membri ad adottare politiche simili con le aziende e ad attuare provvedimenti per migliorare la ricerca, l'informazione e l'educazione. Nel 1997, in Francia, l'Institut National de la Santé et de la Recherche Médicale (INSERM) e la Direction Générale de la Santé hanno fatto nascere la ORPHANET, un database di informazioni su 1.150 malattie rare. Per ognuna è stato redatto, da esperti europei, un breve testo informativo ed è disponibile un elenco di specifici centri di consulenza, di laboratori diagnostici, di progetti di ricerca in atto, di associazioni di pazienti, di farmaci orfani utili alla cura, nonché una serie di indirizzi di potenziale interesse, che rimandano a siti Internet nel mondo. Il coinvolgimento nel progetto di diversi paesi, tra cui lì'Italia, ha creato una rete virtuale e integrata di informazioni, servizi e altri dati pertinenti, all'interno della Comunità Europea. In Italia, nel 2001 l'Istituto Superiore di Sanità ha istituito il Centro nazionale malattie Rare (CNMR) e il Registro nazionale delle malattie rare nell'ambito della Rete Nazionale Malattie Rare con l'obiettivo di svolgere sia attività di ricerca scientifica sia di sanità pubblica a livello nazionale e internazionale. E recentemente, il ministero della sanità, rivedendo i livelli essenziali di assistenza ha incluso altre 109 malattie rare per le quali è prevista l'esenzione dal ticket per la diagnosi o il monitoraggio.
Risultati non sufficienti
Se gli obiettivi sono stati raggiunti è ancora tutto da vedere, dicono gli esperti che hanno firmato diversi contributi e commenti pubblicati sul recente numero di The Lancet. A voler ben guardare, l'Europa non ha dato un grande apporto approvando negli ultimi sei anni solo 23 prodotti per le malattie rare contro i 340 farmaci per altre malattie. In più la ricerca e la documentazione a sostegno non erano in molti casi ferree e sempre sostenibili. Al punto che il disegno degli studi, la non randomizzazione, l'assenza di confronto erano inadeguati in nove casi su 18 analizzati. Le aree di maggior interesse restano l'oncologia e le malattie metaboliche, mentre nessun farmaco è stato approvato per malattie rare di natura neurologica, e respiratoria; il tutto con costi ancora troppo alti che gravitano sul paziente o sul servizio sanitario. Ne escono meglio gli Stati Uniti dove la Food and Drug Administration ha approvato 300 farmaci dal 1983 a oggi. Ma in generale la condizione di questa popolazione di pazienti resta critica. Uno studio italiano ha verificato che, su quasi 2000 bambini nati tra il 1985 e il 1997 con difetti congeniti del metabolismo, solo l'11% ha raggiunto l'età adulta. Permangono i ritardi nella diagnosi: prima di quella finale il 40% ne ha ricevuta una scorretta, gli altri non ne avevano avuta nemmeno una. Gli errori terapeutici e costi aggiuntivi diventano così inevitabili: il 16% si è sottoposto a chirurgia, il 33% non ha ricevuto le cure adeguate, il 25% ha affrontato viaggi in altre regioni per una diagnosi il 2% anche all'estero.
Pazienti alla riscossa
In realtà, concordano su Lancet tutti gli autori, la parte da leone in questo ambito la fanno le associazioni di pazienti e di familiari. Sono loro che in questi anni hanno portato la loro realtà sotto gli occhi dell'opinione pubblica e delle autorità. Hanno creato associazioni e reti di collaborazione tra esse, con un impegno sempre crescente, in alcuni casi coinvolgendo anche industrie e ricercatori, per favorire lo sviluppo dei farmaci orfani. Ma, avendo il polso della situazione reale e conoscendo le difficoltà sociali e sanitarie che devono affrontare questi pazienti, si sono fatti promotori di iniziative di sensibilizzazione e a volte di implementazione di servizi che prendano in carico persone che non hanno o non hanno più risorse sufficienti per sostenere i costi di malattie non ancora curabili. Forse la risposta più adeguata per risolvere il presente non sono solo farmaci.
Simona Zazzetta
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