Tanti specialisti, una patologia

03 ottobre 2008
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Tanti specialisti, una patologia



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Secondo lo studio più recente ne soffre un bambino su 117000, quanto basta per definirla una malattia rara, anche se, dicono gli esperti, è più diffusa di quanto si potrebbe pensare. E' la malattia di Fabry o malattia dell'enzima alfa-galattosidasi A, dovuta a un'anomalia genetica che impedisce il processo di demolizione dei prodotti di scarto. Delle sue caratteristiche e delle possibilità terapeutiche attualmente disponibili si è parlato a Camogli nel corso di una conferenza stampa organizzata da Shire, azienda specializzata nella ricerca sulle malattie genetiche.

La malattia


La malattia per cominciare. Si tratta, come premesso, di una malattia genetica dovuta alla mancanza dell'enzima alfa galattosidasi A. Questo enzima, all'interno dei lisosomi, effettua la degradazione dei prodotti organici di scarto, svolgendo un ruolo essenziale per il processo di riciclaggio che si verifica all'interno delle cellule. Per questo difetto perciò, i prodotti di scarto si accumulano, in particolare il globotriaosilceramide (Gb3), la cui assenza compromette il funzionamento delle cellule stesse. Il mancato smaltimento dei "rifiuti" provoca i sintomi caratteristici della malattia: dolore, alterazioni cutanee, problemi gastroenterici, renali e cardiaci. Di tutto di più. E quando si manifesta?

Quando si manifesta


L'esordio clinico avviene in età pediatrica ma la diagnosi è complessa e spesso ci si arriva in modo indiretto, quando per esempio altri membri della famiglia ne sono affetti. Il sintomo caratteristico dell'età pediatrica è proprio il dolore, agli arti inferiori in particolare. Ma spesso è difficile per il bambino segnalare il problema in modo preciso e la confusione coi dolori della crescita è legittima.
Poi è la volta delle macchie cutanee e di una alterazione dell'occhio che viene definita cornea verticillata. I sintomi poi peggiorano, tranne il dolore, con il passare degli anni, tra i 30 e i 40 in particolare, e ne compaiono di nuovi. Le macchie cutanee si fanno più persistenti, compaiono episodi di febbre, i primi disturbi intestinali e i primi segni di coinvolgimento renale e cardiaco. Ma non sempre, va detto, in modo così evidente da compromettere la qualità di vita del paziente. L'ideale sarebbe il precoce riconoscimento della malattia e l'instaurarsi dell'adeguata terapia ed in sé non è complesso. Basta un esame del sangue. Ma chi prescrive un esame per identificare la malattia di Fabry? Non molti. E per questo il ruolo del pediatra e del medico di famiglia sarebbe centrale.

La cura c'è

Una volta identificata poi la malattia è curabile. Si tratta di rimpiazzare l'enzima e oggi con le tecniche di ingegneria genetica è tutto più semplice. Esistono in commercio due farmaci per la terapia detta di sostituzione enzimatica, uno è prodotto da Shire. E i pazienti oggi in terapia in Italia sono all'incirca 500, con un'attività maggiore al San Gerardo di Monza e al Policlinico Gemelli romano. Una volta intrapresa la terapia, che è ospedaliera e viene somministrata ogni due settimane con un'infusione che dura 40 minuti, si continua per tutta la vita. Ma le condizioni cliniche migliorano in modo significativo, in particolare per quel che concerne il dolore associato alla malattia e per la stabilizzazione della funzione renale e di quella cardiaca. La terapia, inoltre, è molto ben tollerata, anche se la risposta è soggettiva, e le spese sono a carico del servizio sanitario nazionale. Ma serve, come spesso succede per le malattie rare, maggiore informazione. Anche tra i medici.

Marco Malagutti



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