23 maggio 2003
Aggiornamenti e focus
Malattie rare, pazienti orfani
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A dispetto della loro rarità, di queste malattie si parla sempre più spesso, tanto che alcune sono addirittura uscite dalla cerchia ristretta degli addetti ai lavori. Autismo e sclerosi multipla sono forse le più note, ma anche la glicogenosi, per esempio, è recentemente balzata all'onore delle cronache. Si tratta, purtroppo, di notizie che nascono da tristi casi umani (quasi sempre riguardano bambini), che fanno molto scalpore e passano presto nel dimenticatoio.
Chi soffre di una malattia rara si sente abbandonato dalle istituzioni: nella maggioranza dei casi non ci sono cure approvate e nemmeno centri specializzati. Quando, invece, qualche soluzione c'è non è comunque di facile reperibilità; gli stessi medici, infatti, non conoscono tutte queste patologie, perciò la diagnosi tarda ad arrivare e, con essa, i trattamenti adeguati.
Le malattie rare sono anche definite orfane perché nessuno se ne occupa. In realtà non è proprio così ma certo, in confronto con altre patologie, gli studi che le riguardano sono piuttosto esigui. I motivi di tanto "disinteresse" si possono dedurre rapidamente partendo dalle definizioni internazionali di cosa è una malattia rara.
Secondo l'enunciato adottato dalla legislazione americana, si può considerare rara una malattia che affligga meno di 200.000 cittadini negli Stati Uniti, con una prevalenza quindi pari a 1 caso su 1.250 individui.
Il Working Group on Rare Diseases, istituito dalla Comunità Europea, ha adottato un criterio di prevalenza più restrittivo: definisce rara quella malattia che in Europa abbia una prevalenza inferiore a 5 casi per 10.000 abitanti.
Dai dati dell'Organizzazione Mondiale della Sanità, si calcola vi siano almeno 5.000 malattie rare; di esse circa 4.000 avrebbero un'origine genetica.
I ricercatori non si occupano volentieri di malattie rare, perché ci sono scarse probabilità di essere finanziati. Per le aziende, infatti, investire nella ricerca di un farmaco per una patologia rara sarebbe un'iniziativa a fondo perso: le eventuali vendite del medicinale (a pochi malati) non sarebbero mai sufficienti a coprire le spese. Inoltre la ricerca è ostacolata anche dalla difficoltà di reperire modelli sperimentali per lo studio della patogenesi di queste malattie. Infine, la scarsità del numero dei pazienti è un ostacolo all'attuazione di trial clinici, sia perché può essere difficile letteralmente individuare i pazienti (non ci sono registri di persone malate), sia perché può essere difficile raggiungere una sufficiente potenza statistica (cioè un campione abbastanza numeroso).
Fino ad ora le associazioni: di pazienti e di famiglie di pazienti, sono quelle che si sono occupate attivamente di tutte le problematiche di queste patologie. Queste associazioni nascono da piccoli gruppi di pazienti e loro famiglie che decidono di aiutarsi a vicenda, soprattutto nell'assistenza domiciliare. Molte di queste riescono anche a finanziare progetti di ricerca, ma raccogliere fondi è molto difficile. Trattandosi di (tante) malattie rare, infatti, le associazioni sono moltissime ma piccole, poco conosciute a livello nazionale e istituzionale, quindi poco influenti.
Alcune di queste associazioni si sono riunite sotto il nome "Uniamo", sottoscrivendo la prima Magna Charta, in occasione dell'assemblea generale tenutasi a Venezia il 1° settembre di quest'anno.
Giuseppe Liberto, ideatore dell'iniziativa Orphan Drug Research, ha già un elenco di almeno 100 associazioni che potrebbero beneficiare dei fondi raccolti con il suo marchio. Fondi che, ovviamente, dovranno essere gestiti con la massima trasparenza...ma ancora non si sa da chi.
La professoressa Armanda Jori, presente come rappresentante dell'Istituto di Ricerche Mario Negri (IRMN) alla presentazione dell'iniziativa, ha chiarito subito che non sarà l'istituto a gestire queste donazioni. Il Negri fu il primo in Italia, oltre 10 anni fa, ad occuparsi di malattie rare, con il Centro di Ricerche Cliniche per le Malattie Rare Aldo e Cele Daccò, ancora oggi la migliore fonte di preziose informazioni per pazienti e medici. In questa veste, ma senza nessun coinvolgimento diretto, l'IRMN vede positivamente l'iniziativa di Liberto. In concreto, invece, ha collaborato con la Regione Lombardia per istituire la prima Rete Regionale per le Malattie Rare, in ottemperanza al DM 279/2001.
Elisa Lucchesini
Salute oggi:
...e inoltre su Dica33:
Chi soffre di una malattia rara si sente abbandonato dalle istituzioni: nella maggioranza dei casi non ci sono cure approvate e nemmeno centri specializzati. Quando, invece, qualche soluzione c'è non è comunque di facile reperibilità; gli stessi medici, infatti, non conoscono tutte queste patologie, perciò la diagnosi tarda ad arrivare e, con essa, i trattamenti adeguati.
Orfane perché
Le malattie rare sono anche definite orfane perché nessuno se ne occupa. In realtà non è proprio così ma certo, in confronto con altre patologie, gli studi che le riguardano sono piuttosto esigui. I motivi di tanto "disinteresse" si possono dedurre rapidamente partendo dalle definizioni internazionali di cosa è una malattia rara.
Secondo l'enunciato adottato dalla legislazione americana, si può considerare rara una malattia che affligga meno di 200.000 cittadini negli Stati Uniti, con una prevalenza quindi pari a 1 caso su 1.250 individui.
Il Working Group on Rare Diseases, istituito dalla Comunità Europea, ha adottato un criterio di prevalenza più restrittivo: definisce rara quella malattia che in Europa abbia una prevalenza inferiore a 5 casi per 10.000 abitanti.
Dai dati dell'Organizzazione Mondiale della Sanità, si calcola vi siano almeno 5.000 malattie rare; di esse circa 4.000 avrebbero un'origine genetica.
I ricercatori non si occupano volentieri di malattie rare, perché ci sono scarse probabilità di essere finanziati. Per le aziende, infatti, investire nella ricerca di un farmaco per una patologia rara sarebbe un'iniziativa a fondo perso: le eventuali vendite del medicinale (a pochi malati) non sarebbero mai sufficienti a coprire le spese. Inoltre la ricerca è ostacolata anche dalla difficoltà di reperire modelli sperimentali per lo studio della patogenesi di queste malattie. Infine, la scarsità del numero dei pazienti è un ostacolo all'attuazione di trial clinici, sia perché può essere difficile letteralmente individuare i pazienti (non ci sono registri di persone malate), sia perché può essere difficile raggiungere una sufficiente potenza statistica (cioè un campione abbastanza numeroso).
Chi le adotta
Fino ad ora le associazioni: di pazienti e di famiglie di pazienti, sono quelle che si sono occupate attivamente di tutte le problematiche di queste patologie. Queste associazioni nascono da piccoli gruppi di pazienti e loro famiglie che decidono di aiutarsi a vicenda, soprattutto nell'assistenza domiciliare. Molte di queste riescono anche a finanziare progetti di ricerca, ma raccogliere fondi è molto difficile. Trattandosi di (tante) malattie rare, infatti, le associazioni sono moltissime ma piccole, poco conosciute a livello nazionale e istituzionale, quindi poco influenti.
Alcune di queste associazioni si sono riunite sotto il nome "Uniamo", sottoscrivendo la prima Magna Charta, in occasione dell'assemblea generale tenutasi a Venezia il 1° settembre di quest'anno.
Giuseppe Liberto, ideatore dell'iniziativa Orphan Drug Research, ha già un elenco di almeno 100 associazioni che potrebbero beneficiare dei fondi raccolti con il suo marchio. Fondi che, ovviamente, dovranno essere gestiti con la massima trasparenza...ma ancora non si sa da chi.
La professoressa Armanda Jori, presente come rappresentante dell'Istituto di Ricerche Mario Negri (IRMN) alla presentazione dell'iniziativa, ha chiarito subito che non sarà l'istituto a gestire queste donazioni. Il Negri fu il primo in Italia, oltre 10 anni fa, ad occuparsi di malattie rare, con il Centro di Ricerche Cliniche per le Malattie Rare Aldo e Cele Daccò, ancora oggi la migliore fonte di preziose informazioni per pazienti e medici. In questa veste, ma senza nessun coinvolgimento diretto, l'IRMN vede positivamente l'iniziativa di Liberto. In concreto, invece, ha collaborato con la Regione Lombardia per istituire la prima Rete Regionale per le Malattie Rare, in ottemperanza al DM 279/2001.
Elisa Lucchesini
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