13 marzo 2009
Aggiornamenti e focus
Nuovi segnali da considerare
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Prevedere il rischio e agire d'anticipo è la sfida del presente e del futuro e disporre di strumenti sempre più sensibili, predittivi e indipendenti non può che garantire più successi nel prevenire alcune malattie. In questa direzione si sono orientati i ricercatori che hanno valutato nuovi elementi predittivi e fattori di rischio di sviluppare l'insufficienza renale cronica (IRC), pur andando a verificare quelli già noti, come l'elevata creatinina serica, ipertensione, diabete mellito, età avanzata, bassa livello di scolarizzazione e genere maschile.
La popolazione di riferimento usata come campione erano le oltre 177 mila persone arruolate nel Kaiser Permanente of Northern California che avevano partecipato al Multiphasic Health Testing Services Program in Oakland e San Francisco. Tutte le persone erano state esaminate tra il1964 e il 1973, ma la diagnosi di insufficienza renale cronica o il decesso erano stati considerati fino alla fine del 2000. Gli autori del lavoro sostengono di aver scelto questo periodo di tempo perché in quella fase erano stati eseguiti in modo molto più dettagliato gli accertamenti delle comorbidità e gli esami di laboratorio. Nel complesso erano stati registrati 842 casi di IRC trattata e seguiti per circa 5 persone-anni. In media tra la prima visita e lo sviluppo della cronicizzazione terminale passavano 24,5 anni. Prendendo visione delle variabili cliniche misurate durante le visite di controllo è stato possibile stabilire che, per esempio, livelli elevati di acido urico nel sangue erano associati al doppio (rischio relativo 2,14) delle probabilità di sviluppare la malattia rispetto ai soggetti che avevano i valori più bassi. Inoltre, sono state riscontrate associazioni indipendenti della IRC con bassi livelli di emoglobina (rischio relativo 1,33 rispetto ai livelli più alti dei valori) e con la presenza di nicturia, cioè il bisogno eccessivo di urinare di notte, con almeno due risvegli con questa ragione (rischio relativo 1,36). Anche casi in famiglia di patologie renali erano un fattore di rischio che lo portavano fino a 1,40, considerando i casi tra i parenti di primo grado.
Oltre a questi nuovi fattori di rischio, definiti tali e indipendenti, sono stati confermati quelli già noti e più tradizionali come la proteinuria che si è attestata come il fattore di rischio più potente (rischio relativo 7,90) insieme all'eccesso di peso (rischio relativo 4,39). In merito alle evidenze osservate per i nuovi fattori di rischio, gli autori hanno fatto notare che l'ipotesi di correlazione tra gotta (livello eccessivo di acido urico nel sangue) e nefropatia era stata accantonata in passato mentre invece adesso potrebbe ritornare alla ribalta. Il crescente interesse per il ruolo fisiopatologico dell'acido urico nelle patologie renali e cardiache, apre la porta a potenziali nuovi interventi oltre il controllo della pressione sanguigna e il blocco del sistema renina-angiotensina-aldosterone per ridurre il rischio di IRC. Inoltre l'uso della storia familiare rappresenta un utile strumento di supporto per la salute pubblica per iniziare a identificare persone più a rischio da inserire in screening per la patologia renale.
Simona Zazzetta
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A distanza di 25 anni
La popolazione di riferimento usata come campione erano le oltre 177 mila persone arruolate nel Kaiser Permanente of Northern California che avevano partecipato al Multiphasic Health Testing Services Program in Oakland e San Francisco. Tutte le persone erano state esaminate tra il1964 e il 1973, ma la diagnosi di insufficienza renale cronica o il decesso erano stati considerati fino alla fine del 2000. Gli autori del lavoro sostengono di aver scelto questo periodo di tempo perché in quella fase erano stati eseguiti in modo molto più dettagliato gli accertamenti delle comorbidità e gli esami di laboratorio. Nel complesso erano stati registrati 842 casi di IRC trattata e seguiti per circa 5 persone-anni. In media tra la prima visita e lo sviluppo della cronicizzazione terminale passavano 24,5 anni. Prendendo visione delle variabili cliniche misurate durante le visite di controllo è stato possibile stabilire che, per esempio, livelli elevati di acido urico nel sangue erano associati al doppio (rischio relativo 2,14) delle probabilità di sviluppare la malattia rispetto ai soggetti che avevano i valori più bassi. Inoltre, sono state riscontrate associazioni indipendenti della IRC con bassi livelli di emoglobina (rischio relativo 1,33 rispetto ai livelli più alti dei valori) e con la presenza di nicturia, cioè il bisogno eccessivo di urinare di notte, con almeno due risvegli con questa ragione (rischio relativo 1,36). Anche casi in famiglia di patologie renali erano un fattore di rischio che lo portavano fino a 1,40, considerando i casi tra i parenti di primo grado.
Nuovi fattori di rischio
Oltre a questi nuovi fattori di rischio, definiti tali e indipendenti, sono stati confermati quelli già noti e più tradizionali come la proteinuria che si è attestata come il fattore di rischio più potente (rischio relativo 7,90) insieme all'eccesso di peso (rischio relativo 4,39). In merito alle evidenze osservate per i nuovi fattori di rischio, gli autori hanno fatto notare che l'ipotesi di correlazione tra gotta (livello eccessivo di acido urico nel sangue) e nefropatia era stata accantonata in passato mentre invece adesso potrebbe ritornare alla ribalta. Il crescente interesse per il ruolo fisiopatologico dell'acido urico nelle patologie renali e cardiache, apre la porta a potenziali nuovi interventi oltre il controllo della pressione sanguigna e il blocco del sistema renina-angiotensina-aldosterone per ridurre il rischio di IRC. Inoltre l'uso della storia familiare rappresenta un utile strumento di supporto per la salute pubblica per iniziare a identificare persone più a rischio da inserire in screening per la patologia renale.
Simona Zazzetta
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