01 dicembre 2004
Aggiornamenti e focus
Retina minacciata dalla CO2
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Esiste un gruppo di malattie dell'occhio che va sotto il nome di retinopatie in quanto colpiscono la retina, il tessuto oculare preposto alla ricezione dello stimolo luminoso. Il deterioramento è progressivo, crea zone abnormi di pigmento e la capacità di trasmettere le immagini al cervello viene lentamente ridotta fino alla perdita totale della vista.
La sensibilità alla luce della retina è determinata dalla presenza di cellule specializzate distinte in coni e bastoncelli. I primi recepiscono i particolari delle immagini e i colori, gli altri reagiscono al contrasto tra il chiaro e lo scuro e al movimento degli oggetti. La retinite pigmentosa ha diverse manifestazioni cliniche a seconda delle zone della retina che colpisce; può determinare un restringimento del campo visivo e una progressiva difficoltà di adattamento al buio e alla penombra quando la zona danneggiata è quella periferica dove si trovano per lo più i bastoncelli. Si perde invece la visione centrale quando vengono compromessi i coni. La velocità con cui procede la malattia è soggettiva e in genere colpisce già in giovane età, ma subdolamente perché per un meccanismo di compensazione messo in atto dal sistema nervoso si è portati a credere di vedere luoghi e oggetti che invece sono impressi nella memoria. Ci si muove quindi con disinvoltura ma non si avvertono le variazioni impreviste dell'ambiente circostante.
La retinite pigmentosa costituisce la prima causa di cecità non innata, si accompagna ad altre patologie oculari come la cataratta e alla sordità nella sindrome di Usher, a difetti rifrattivi (miopia, ipermetropia) a strabismo e a deformazione della cornea. Gli è stata riconosciuta una modalità di trasmissione ereditaria legata al cromosoma X, ma non è ancora chiaro il meccanismo genetico che sottende alla patologia, ragion per cui non ci sono terapie in grado di guarire ne tanto meno di rallentare l'avanzamento della malattia. Una delle recenti ipotesi, avvalorata dai dati raccolti da una collaborazione tra la University of Alberta (Canada), la University College London (Inghilterra), la Universitätsaugenklinik Tübingen (Germania) e la University Medical Centre di Nijmegen (Paesi Bassi), focalizza l'attenzione sul metabolismo delle cellule della retina. Questo tessuto e tutto l'epitelio retinico pigmentoso sono una delle zone del corpo metabolicamente più attive, e necessitano di un efficiente meccanismo di rimozione dei cataboliti, cioè degli scarti verso i capillari. Un ruolo chiave sembra svolto da un enzima, la anidrasi carbonica che media il trasporto dell'anidride carbonica, sostanza di scarto del metabolismo animale, verso il circolo sanguigno. Quando il gene che codifica per questo enzima, il CA4, è mutato (mutazione missenso dominante autosomica) l'enzima non è più in grado di svolgere la sua attività e l'anidride carbonica si accumula nei fotorecettori della retina scatenando processi di degenerazione. Se questa ipotesi venisse confermata da altri studi si aprirebbero nuove prospettive terapeutiche e verrebbero messe in dubbio le terapie, per esempio quelle per curare il glaucoma, a base di inibitori dell'anidrasi carbonica in quanto potrebbero impedire la rimozione di CO2 e quindi danneggiare la retina.
Simona Zazzetta
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Un sistema delicato
La sensibilità alla luce della retina è determinata dalla presenza di cellule specializzate distinte in coni e bastoncelli. I primi recepiscono i particolari delle immagini e i colori, gli altri reagiscono al contrasto tra il chiaro e lo scuro e al movimento degli oggetti. La retinite pigmentosa ha diverse manifestazioni cliniche a seconda delle zone della retina che colpisce; può determinare un restringimento del campo visivo e una progressiva difficoltà di adattamento al buio e alla penombra quando la zona danneggiata è quella periferica dove si trovano per lo più i bastoncelli. Si perde invece la visione centrale quando vengono compromessi i coni. La velocità con cui procede la malattia è soggettiva e in genere colpisce già in giovane età, ma subdolamente perché per un meccanismo di compensazione messo in atto dal sistema nervoso si è portati a credere di vedere luoghi e oggetti che invece sono impressi nella memoria. Ci si muove quindi con disinvoltura ma non si avvertono le variazioni impreviste dell'ambiente circostante.
Le cause
La retinite pigmentosa costituisce la prima causa di cecità non innata, si accompagna ad altre patologie oculari come la cataratta e alla sordità nella sindrome di Usher, a difetti rifrattivi (miopia, ipermetropia) a strabismo e a deformazione della cornea. Gli è stata riconosciuta una modalità di trasmissione ereditaria legata al cromosoma X, ma non è ancora chiaro il meccanismo genetico che sottende alla patologia, ragion per cui non ci sono terapie in grado di guarire ne tanto meno di rallentare l'avanzamento della malattia. Una delle recenti ipotesi, avvalorata dai dati raccolti da una collaborazione tra la University of Alberta (Canada), la University College London (Inghilterra), la Universitätsaugenklinik Tübingen (Germania) e la University Medical Centre di Nijmegen (Paesi Bassi), focalizza l'attenzione sul metabolismo delle cellule della retina. Questo tessuto e tutto l'epitelio retinico pigmentoso sono una delle zone del corpo metabolicamente più attive, e necessitano di un efficiente meccanismo di rimozione dei cataboliti, cioè degli scarti verso i capillari. Un ruolo chiave sembra svolto da un enzima, la anidrasi carbonica che media il trasporto dell'anidride carbonica, sostanza di scarto del metabolismo animale, verso il circolo sanguigno. Quando il gene che codifica per questo enzima, il CA4, è mutato (mutazione missenso dominante autosomica) l'enzima non è più in grado di svolgere la sua attività e l'anidride carbonica si accumula nei fotorecettori della retina scatenando processi di degenerazione. Se questa ipotesi venisse confermata da altri studi si aprirebbero nuove prospettive terapeutiche e verrebbero messe in dubbio le terapie, per esempio quelle per curare il glaucoma, a base di inibitori dell'anidrasi carbonica in quanto potrebbero impedire la rimozione di CO2 e quindi danneggiare la retina.
Simona Zazzetta
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