26 maggio 2006
Aggiornamenti e focus
Geni duri d'orecchi
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Il sospetto che la sordità potesse avere, in alcuni casi, una componente genetica risale a circa venti anni fa; attualmente infatti, escluse le cause ambientali (traumi, farmaci ototossici, infezioni e complicanze fetali, perinatali e postnatali), il 50% dei casi delle sordità risulta avere origine ereditaria e ricorre fortemente in particolari famiglie.
Tali forme congenite possono inserirsi in quadri clinici complessi di patologie come la sindrome di Waandemburg, di Usher, di Tietz, di Pendred, di Hurler, di Alport, ma questa evenienza interessa un 10-20% della popolazione dei non udenti ed è associata a disturbi di altri organi o di altri distretti corporei. Nella maggioranza dei casi (80-90%) si tratta di sordità non sindromica, cioè non accompagnata da altri sintomi, dovuta a mutazioni genetiche che vengono trasmesse da una generazione all'altra.
Solo particolari combinazioni di geni mutati determinano la sordità; si distingue, infatti, una sordità non sindromica autosomica (cioè legata ai cromosomi non sessuali) recessiva che si manifesta quando entrambe le copie del gene, provenienti rispettivamente dal padre e dalla madre, sono mutanti; se, però, una copia del gene è "sana", la percezione uditiva si sviluppa normalmente. Tale condizione rappresenta il 75% dei casi, mentre un 20% ha ereditarietà autosomica dominante, vale a dire che è sufficiente una sola copia del gene "malato" per avere il deficit uditivo. Infine, una piccola minoranza, il 5%, deve la propria condizione a geni legati al cromosoma X, quindi al sesso del soggetto. Esiste anche la possibilità di mutazioni del DNA presente nei mitocondri, piccoli organuli cellulari, ma questa rappresenta solo l'1% dei casi di sordità.
Per tutte le forme non sindromiche sono stati identificati numerosi geni, alcuni dei quali sono piuttosto rari e, magari, compaiono in una sola famiglia complicando notevolmente l'identificazione della forma specifica di sordità. Tuttavia ne esistono anche di più comuni, come, per esempio, il gene GJB2, la cui mutazione è responsabile dell'80% (90% in Italia) delle sordità autosomiche recessive, mentre per la forma dominante il gene che presenta la mutazione è il COCH. Le due forme non differiscono solo per i geni implicati: la prima è già presente alla nascita e generalmente non peggiora, l'altra, invece, è progressiva e comporta anche disturbi dell'equilibrio e probabile degenerazione delle fibre nervose. Le mutazioni genetiche, responsabili della sordità legata al sesso e di quella con eredità mitocondriale interessano, rispettivamente, i geni POU3F4 e 12SrRNA.
Data la sua ampia diffusione nelle famiglie dell'area mediterranea, la forma non sindromica recessiva ha attirato l'attenzione di ricercatori italiani che, nel 1997, hanno evidenziato il ruolo importante della connessina-26, codificata dal gene GJB2 (Gap Junction protein, beta-2). Appartiene alla famiglia delle connessine, proteine coinvolte nella formazione delle gap junctions, ovvero le giunzioni che mettono in comunicazione cellule contigue permettendo il passaggio di piccole molecole e ioni.
Esistono altre patologie umane riconducibili alla mutazione dei geni che codificano per queste proteine; nel caso della sordità, l'interesse è per la connessina-26, prodotta nelle cellule della coclea (parte dell'orecchio interno). In questo organo le giunzioni rappresentano la base morfologica per la trasmissione dell'impulso elettrico che viene generato dalle risposte cellulari agli stimoli ambientali.
Una delle mutazioni genetiche più frequenti, responsabile della sordità non sindromica recessiva, è una delezione (35delG), cioè la mancanza di un nucleotide nel DNA, che dà origine a una proteina tronca, in quanto la sua sintesi si blocca prima di raggiungere la catena di aminoacidi completa. La proteina incompleta non può contribuire alla formazione delle giunzioni, quindi l'impulso elettrico non riesce a raggiungere il sistema nervoso centrale.
Diagnosi precoce
Attualmente non esistono terapie risolutive per le forme di sordità ereditaria, ma si può intervenire con la riabilitazione logopedica, l'uso di protesi e impianto cocleare.
La diagnosi, invece, dispone di forti strumenti: una valutazione clinica e strumentale e l'analisi molecolare del gene responsabile, sempre che appartenga al gruppo di quelli già noti.
Se il deficit compare nell'ambito familiare è importante e utile procedere con lo screening genetico per individuare portatori sani della mutazione, e, per un'eventuale diagnosi precoce, eseguirlo in fase prenatale.
Simona Zazzetta
Salute oggi:
...e inoltre su Dica33:
Tali forme congenite possono inserirsi in quadri clinici complessi di patologie come la sindrome di Waandemburg, di Usher, di Tietz, di Pendred, di Hurler, di Alport, ma questa evenienza interessa un 10-20% della popolazione dei non udenti ed è associata a disturbi di altri organi o di altri distretti corporei. Nella maggioranza dei casi (80-90%) si tratta di sordità non sindromica, cioè non accompagnata da altri sintomi, dovuta a mutazioni genetiche che vengono trasmesse da una generazione all'altra.
Mutazioni dannose, ma non sempre
Solo particolari combinazioni di geni mutati determinano la sordità; si distingue, infatti, una sordità non sindromica autosomica (cioè legata ai cromosomi non sessuali) recessiva che si manifesta quando entrambe le copie del gene, provenienti rispettivamente dal padre e dalla madre, sono mutanti; se, però, una copia del gene è "sana", la percezione uditiva si sviluppa normalmente. Tale condizione rappresenta il 75% dei casi, mentre un 20% ha ereditarietà autosomica dominante, vale a dire che è sufficiente una sola copia del gene "malato" per avere il deficit uditivo. Infine, una piccola minoranza, il 5%, deve la propria condizione a geni legati al cromosoma X, quindi al sesso del soggetto. Esiste anche la possibilità di mutazioni del DNA presente nei mitocondri, piccoli organuli cellulari, ma questa rappresenta solo l'1% dei casi di sordità.
Per tutte le forme non sindromiche sono stati identificati numerosi geni, alcuni dei quali sono piuttosto rari e, magari, compaiono in una sola famiglia complicando notevolmente l'identificazione della forma specifica di sordità. Tuttavia ne esistono anche di più comuni, come, per esempio, il gene GJB2, la cui mutazione è responsabile dell'80% (90% in Italia) delle sordità autosomiche recessive, mentre per la forma dominante il gene che presenta la mutazione è il COCH. Le due forme non differiscono solo per i geni implicati: la prima è già presente alla nascita e generalmente non peggiora, l'altra, invece, è progressiva e comporta anche disturbi dell'equilibrio e probabile degenerazione delle fibre nervose. Le mutazioni genetiche, responsabili della sordità legata al sesso e di quella con eredità mitocondriale interessano, rispettivamente, i geni POU3F4 e 12SrRNA.
Giunzioni difettose
Data la sua ampia diffusione nelle famiglie dell'area mediterranea, la forma non sindromica recessiva ha attirato l'attenzione di ricercatori italiani che, nel 1997, hanno evidenziato il ruolo importante della connessina-26, codificata dal gene GJB2 (Gap Junction protein, beta-2). Appartiene alla famiglia delle connessine, proteine coinvolte nella formazione delle gap junctions, ovvero le giunzioni che mettono in comunicazione cellule contigue permettendo il passaggio di piccole molecole e ioni.
Esistono altre patologie umane riconducibili alla mutazione dei geni che codificano per queste proteine; nel caso della sordità, l'interesse è per la connessina-26, prodotta nelle cellule della coclea (parte dell'orecchio interno). In questo organo le giunzioni rappresentano la base morfologica per la trasmissione dell'impulso elettrico che viene generato dalle risposte cellulari agli stimoli ambientali.
Una delle mutazioni genetiche più frequenti, responsabile della sordità non sindromica recessiva, è una delezione (35delG), cioè la mancanza di un nucleotide nel DNA, che dà origine a una proteina tronca, in quanto la sua sintesi si blocca prima di raggiungere la catena di aminoacidi completa. La proteina incompleta non può contribuire alla formazione delle giunzioni, quindi l'impulso elettrico non riesce a raggiungere il sistema nervoso centrale.
Diagnosi precoce
Attualmente non esistono terapie risolutive per le forme di sordità ereditaria, ma si può intervenire con la riabilitazione logopedica, l'uso di protesi e impianto cocleare.
La diagnosi, invece, dispone di forti strumenti: una valutazione clinica e strumentale e l'analisi molecolare del gene responsabile, sempre che appartenga al gruppo di quelli già noti.
Se il deficit compare nell'ambito familiare è importante e utile procedere con lo screening genetico per individuare portatori sani della mutazione, e, per un'eventuale diagnosi precoce, eseguirlo in fase prenatale.
Simona Zazzetta
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