L'ADHD? Questione di dieta

28 maggio 2008
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L'ADHD? Questione di dieta



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L'ipotesi che la dieta e in particolare il consumo di coloranti artificiali possa essere correlato al disturbo da iperattività dei bambini aleggia da tempo. Sono addirittura trent'anni da che sono state fatte le prime ipotesi in questa direzione, un periodo in cui ancora la patologia non era stata inquadrata in modo definitivo. Ma il tentativo di confutare questa tesi ha sempre dato risultati controversi. Le prime ipotesi risalenti agli anni '70, come illustra il sito dello European Food Information Council, EUFIC, affermavano che circa il 30-50% dei bambini iperattivi miglioravano se sottoposti a una dieta priva di coloranti alimentari artificiali. Poi nel 1982 uno studio dell'Istituto Nazionale della Sanità statunitense concluse che le restrizioni dietetiche aiutavano solo una piccola percentuale di bambini iperattivi. Da lì è stato tutto un rincorrersi di studi senza che si riuscisse ad arrivare a una soluzione univoca. L'ultimo pubblicato da Lancet nell'aprile scorso avrebbe identificato sei additivi responsabili di iperattività e perdita di concentrazione nei bambini. Si tratta di Tartrazina E102, E124, E122, E110, E104 ed E129, coloranti usati per la produzione di succhi concentrati, marmellate, lecca-lecca e bevande effervescenti e tutti legali in Italia. Uno studio che ha portato a invocare che venissero banditi dal mercato. Sulla richiesta la Ue è, però, sembrata scettica. E sull'onda dello studio britannico anche l'Agenzia di sicurezza alimentare europea (EFSA) ha contestato lo studio, ribadendo che mancano le evidenze sull'effetto che gli additivi avrebbero sull'attività e sull'attenzione in alcuni bambini. Un'editoriale del Bmj fa il punto della situazione.

La diatriba non è risolta


L'editorialista Andrew Kemp non è molto d'accordo con le osservazioni EFSA. Gli additivi, dice senza mezzi termini, dovrebbero essere eliminati dalla dieta come parte di uno standard iniziale di trattamento dell'ADHD: E lo fa sull'onda di uno studio del 2007 pubblicato sulla rivista dell'America Academy of Pediatrics. Un risultato così eclatante, dice Kemp, che anche gli scettici, dei quali l'editorialista si dice parte, dovrebbero ricredersi. Forse una simile modifica nella dieta non avrebbe lo stesso effetto su tutti i bambini, ma lo stesso vale anche per i trattamenti farmacologici. E nel caso si volessero evitare i farmaci un tentativo di intervenire sulla dieta potrebbe essere fatto, con minori rischi per di più. Non solo, secondo Kemp, sarebbero maggiori le evidenze a riguardo dell'intervento dietetico che non di quello comportamentale. Dei 22 studi condotti tra il 1975 e il 1994, 16 hanno avuto un impatto positivo su bambini affetti da ADHD. Lo studio citato dall'editoriale ha preso in considerazione 297 bambini britannici di tre anni o di età compresa tra gli 8 e i 9, tutti con una dieta rigorosamente controllata per sei settimane. I bambini hanno assunto nel periodo esaminato sia bevande che cibi con additivi, ma anche placebo. I risultati successivi hanno mostrato in modo inequivocabile che l'assunzione di additivi era associata a iperattività e minor attenzione. Le perplessità rimangono, anche perché i detrattori ribadiscono che se anche ci fosse un simile effetto sarebbe solo su pochi bambini. La diatriba non è risolta, perciò, ma a prescindere dall'iperattività per concludere che bisognerebbe ridurre i coloranti nella dieta dei più piccoli forse basta il buon senso.

Marco Malagutti



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