29 ottobre 2004
Aggiornamenti e focus
Non basta la pillola
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Per quanto l'approccio statunitense al disturbo da deficit dell'attenzione e iperattività (ADHD) sia piuttosto netto, come pure l'intervento farmacologico, in Europa e in Italia persiste una certa diffidenza rispetto alla somministrazione ai bambini di farmaci che agiscono sul sistema nervoso centrale. Questo orientamento alla prudenza ha comunque consentito di valutare metodi alternativi, più o meno accreditati dal momento che alcuni non presentano studi scientifici a sostegno e restano quindi discutibili.
Attualmente il metodo più riconosciuto è il trattamento multimodale, cioè una combinazione di interventi farmacologici e strategie comportamentali.
All'impiego di medicine psicostimolanti (metilfenidato, destroamfetamina, pemolina) si affianca l'intervento psico-educativo sul comportamento del bambino che coinvolge famiglia e scuola: un sistema a gettoni o a punti in cui al raggiungimento di obiettivi comportamentali segue una ricompensa. La terapia viene proposta in forma ludica e accattivante per mantenere vivi interesse e motivazione; il bambino viene premiato ogni volta che riesce a mantenere le aspettative: esecuzione di compiti scolastici o attività assegnate, controllo degli impulsi.
Ciò che si tenta di trasmettere è la capacità di riconoscere il problema, di trovare soluzioni, alternative all'atteggiamento impulsivo, e di verificare i risultati delle proprie azioni.
Il giovane paziente è sollecitato a guidare se stesso, a osservare il proprio comportamento, soprattutto in situazioni di stress, e ad acquisire maggior controllo e consapevolezza delle emozioni.
La conferma della validità terapeutica del trattamento multimodale è recentissima, sostenuta da uno studio pubblicato nel 1999 dagli Archives of General Psychiatry. Si trattò di una ricerca innovativa sull'ADHD, in quanto si proponeva, per la prima volta, un confronto dell'efficacia dei trattamenti sul lungo termine (14 mesi).
Si dimostrò che la terapia farmacologica e il trattamento combinato erano statisticamente e clinicamente superiori rispetto al solo intervento comportamentale, puntualizzando, inoltre, che nel secondo caso la quantità di farmaci psicostimolanti si riduceva del 20% rispetto alla terapia esclusivamente farmacologica. Quest'ultima, ma non secondaria, osservazione è certamente un incoraggiante suggerimento per non interrompere la terapia farmacologica in presenza di effetti collaterali (che compaiono dopo i primi mesi di somministrazione) ma di abbinarvi un sostegno psicoterapico e quindi ridurre il dosaggio.
Il metodo non è esente da limiti, infatti l'operatore può incontrare difficoltà nel controllo del contesto ambientale in cui vive il bambino. Anche la generalizzazione dei risultati può essere problematica: a volte alcuni pazienti mostrano miglioramenti durante la lezione scolastica, ma già durante la ricreazione o a casa tornano ad assumere comportamenti incontrollati. Inoltre i premi e le punizioni possono perdere gradualmente forza e valore e quindi devono essere continuamente riesaminati.
Privi di documentazione scientifica adeguata sono i molti metodi, alternativi ai sopraccitati, che incontrano un successo limitato a pochi casi, o comunque a gruppi ristretti. Una pubblicazione degli Annals of New York Academy of Science ne riconosce ben 24.
Risultano inefficaci o blandamente efficaci la riduzione di zuccheri semplici, alti dosaggi di singole vitamine e l'integrazione di aminoacidi.
Sono supportati soltanto da dati pilota o non-sistematici, metodi di integrazione di ferro o magnesio, l'uso di erbe cinesi e non, rimedi omeopatici, terapie antifungine, biofeedback con elettroencefalogramma, massaggi, meditazione, feedback allo specchio, stimolazione vestibolare, addestramento dei canali percettivi, terapia laser.
Infine mancano sperimentazioni cliniche per l'integrazione di zinco e di acidi grassi essenziali, mentre sembrano promettenti, in quanto presentano prove di efficacia in determinate situazioni, appropriate diete alimentari, trattamento della tiroide, biofeedback con elettromiogramma.
Simona Zazzetta
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Trattamento multimodale
Attualmente il metodo più riconosciuto è il trattamento multimodale, cioè una combinazione di interventi farmacologici e strategie comportamentali.
All'impiego di medicine psicostimolanti (metilfenidato, destroamfetamina, pemolina) si affianca l'intervento psico-educativo sul comportamento del bambino che coinvolge famiglia e scuola: un sistema a gettoni o a punti in cui al raggiungimento di obiettivi comportamentali segue una ricompensa. La terapia viene proposta in forma ludica e accattivante per mantenere vivi interesse e motivazione; il bambino viene premiato ogni volta che riesce a mantenere le aspettative: esecuzione di compiti scolastici o attività assegnate, controllo degli impulsi.
Ciò che si tenta di trasmettere è la capacità di riconoscere il problema, di trovare soluzioni, alternative all'atteggiamento impulsivo, e di verificare i risultati delle proprie azioni.
Il giovane paziente è sollecitato a guidare se stesso, a osservare il proprio comportamento, soprattutto in situazioni di stress, e ad acquisire maggior controllo e consapevolezza delle emozioni.
La conferma della validità terapeutica del trattamento multimodale è recentissima, sostenuta da uno studio pubblicato nel 1999 dagli Archives of General Psychiatry. Si trattò di una ricerca innovativa sull'ADHD, in quanto si proponeva, per la prima volta, un confronto dell'efficacia dei trattamenti sul lungo termine (14 mesi).
Si dimostrò che la terapia farmacologica e il trattamento combinato erano statisticamente e clinicamente superiori rispetto al solo intervento comportamentale, puntualizzando, inoltre, che nel secondo caso la quantità di farmaci psicostimolanti si riduceva del 20% rispetto alla terapia esclusivamente farmacologica. Quest'ultima, ma non secondaria, osservazione è certamente un incoraggiante suggerimento per non interrompere la terapia farmacologica in presenza di effetti collaterali (che compaiono dopo i primi mesi di somministrazione) ma di abbinarvi un sostegno psicoterapico e quindi ridurre il dosaggio.
Il metodo non è esente da limiti, infatti l'operatore può incontrare difficoltà nel controllo del contesto ambientale in cui vive il bambino. Anche la generalizzazione dei risultati può essere problematica: a volte alcuni pazienti mostrano miglioramenti durante la lezione scolastica, ma già durante la ricreazione o a casa tornano ad assumere comportamenti incontrollati. Inoltre i premi e le punizioni possono perdere gradualmente forza e valore e quindi devono essere continuamente riesaminati.
I metodi discutibili
Privi di documentazione scientifica adeguata sono i molti metodi, alternativi ai sopraccitati, che incontrano un successo limitato a pochi casi, o comunque a gruppi ristretti. Una pubblicazione degli Annals of New York Academy of Science ne riconosce ben 24.
Risultano inefficaci o blandamente efficaci la riduzione di zuccheri semplici, alti dosaggi di singole vitamine e l'integrazione di aminoacidi.
Sono supportati soltanto da dati pilota o non-sistematici, metodi di integrazione di ferro o magnesio, l'uso di erbe cinesi e non, rimedi omeopatici, terapie antifungine, biofeedback con elettroencefalogramma, massaggi, meditazione, feedback allo specchio, stimolazione vestibolare, addestramento dei canali percettivi, terapia laser.
Infine mancano sperimentazioni cliniche per l'integrazione di zinco e di acidi grassi essenziali, mentre sembrano promettenti, in quanto presentano prove di efficacia in determinate situazioni, appropriate diete alimentari, trattamento della tiroide, biofeedback con elettromiogramma.
Simona Zazzetta
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