Quando l'arte imita il dolore

22 luglio 2005
Aggiornamenti e focus

Quando l'arte imita il dolore



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"Non dobbiamo ingannarci e pensare che riceviamo la pittura attraverso l'occhio. No, la riceviamo a nostra insaputa, attraverso tutti e cinque i nostri sensi. E come potrebbe essere altrimenti?" Così scriveva Kandinski, evocando in qualche modo le potenzialità terapeutiche dell'arte. Già perché un quadro, dicono alcuni esperti, può anche guarire. Si chiama arte-terapia ed è secondo la sua definizione un intervento di aiuto e di sostegno alla persona a mediazione non verbale che utilizza i materiali artistici e il processo creativo come sostituzione o integrazione della comunicazione verbale, nell'interazione tra operatore e paziente. Ne parla il New York Times questa settimana raccontando una storia emblematica.

Quadri che guariscono


Che cosa vedi in questo quadro? Così si rivolge la psicologa Maria Sesin, mostrando un quadro di Frida Kahlo, a una donna durante una terapia di gruppo per depressione che si svolge presso un ospedale di Brooklyn. Il quadro intitolato "Io i miei genitori, i miei nonni" scatena nella paziente un sentimento violento che si sfoga con un pianto. Evoca, infatti, una famiglia unita, niente di più traumatico per una persona che avverte un profondo senso di solitudine. Così in modo estremamente semplificato si svolge una seduta. La terapeuta attraverso 12 quadri della Kahlo, pittrice messicana scelta, tra gli altri motivi, perché il gruppo di pazienti è di lingua ispanica, cerca di esplorare il vissuto di sofferenza sia emotivo sia fisico. Sono quadri che parlano di infedeltà, violenza, dominio maschile e infertilità, i problemi che questo gruppo di donne, colpite da depressione, lamentano. In più la vita della pittrice può essere tranquillamente definita un autentico calvario, una lotta estrema contro il dolore e il decadimento fisico. Basti pensare che subì, in tutta la vita, circa 32 interventi chirurgici alla spina dorsale, all'ultimo anche l'amputazione della gamba destra. La psicologa ricorre ai quadri della Kahlo da almeno otto anni e ha trattato così circa 60 pazienti. Una maniera che nel caso specifico delle donne ispaniche, molto riservate nell'aprirsi sulla loro vita intima, permette di "aprire la porta". Il tentativo di questa terapia alternativa nasce proprio dal fallimento della classica terapia conversazionale e pare particolarmente adatto a minoranze etniche meno abituate nei loro paesi d'origine ad affrontare problemi psicologici. Il metodo nasce dal lavoro di Giuseppe Costantino, uno psicologo e direttore di un centro per la malattia mentale statunitense. Nei tardi anni '80 ha sviluppato una forma di terapia per bambini e genitori che utilizzava storie popolari. La Sesin ha deciso di sviluppare questo sistema focalizzandosi sugli adulti e passando a utilizzare i quadri. La terapia, va detto, non è esclusiva, nel senso che le pazienti in questione continuano l'eventuale terapia farmacologica oltre alla normale terapia di gruppo. Le storie delle pazienti sono tutte storie di violenza fisica e psicologica, ma a giudicare dai loro commenti l'arte terapia funziona. Una di queste per esempio sostiene che i quadri le hanno permesso di capire che non è sola, "vedere un quadro che riproduce una violenza vissuta può fare molto male", dice la paziente, "ma ti fa sentire meglio tirare fuori quello che hai dentro". E così tante altre storie. La terapia, per esempio, aiuta anche a essere più assertive e a esprimere la rabbia. "Spero che saremo felici", dice una paziente. "Non possiamo cambiare quello che ci è successo, ma possiamo cominciare a cambiare le cose". E non è poco.

Marco Malagutti



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