Quel che resta del parto

15 dicembre 2006
Aggiornamenti e focus

Quel che resta del parto



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Ogni donna deve confrontarsi, tra le tante cose, anche con i propri ormoni, che ogni mese condizionano l'umore e che in momenti particolari della vita, come la gravidanza vanno incontro a oscillazioni che lasciano il segno. Nel bene e nel male. Infatti, se la gravidanza mette al riparo da alcune patologie espone ad altre. E l'umore è uno dei bersagli, in particolare dopo il parto.

Sensibilità diagnosticata


Le donne, che dopo il parto avvertono un umore instabile, hanno una neurofisiologia particolarmente sensibile alla scomparsa degli ormoni che avviene con la nascita che produce in ogni caso una effetto destabilizzante. Gli esiti avversi di tale sensibilità, estremamente variabile, possono essere a breve o a lungo termine e comportare nel bambino problemi di sviluppo motorio e mentale, far comparire nel tempo un temperamento difficile con scarso autocontrollo, bassa autostima e disturbi del comportamento. Quando poi non sfociano in esiti tragici, in caso di psicosi, per esempio, in cui si verificano suicidi della madre e infanticidi. Alcuni governi hanno riconosciuto la gravità di queste circostanze e l'importanza della prevenzione, nel New Jersey, per esempio, sono stati commissionati programmi di educazione e di screening. Il Dipartimento della Salute americano ha richiesto la realizzazione di un rapporto su questo argomento. E l'Agency for Health-care Research and Quality (AHRQ) ha definito come periodo a rischio la gravidanza e i primi 12 mesi dal parto. Il Manuale di diagnostica psichiatrica fa riferimento alle prime quattro settimane, la Classificazione internazionale delle malattie allarga a sei settimane. Un panel di esperti internazionali, più in accordo con la AHRQ, arriva ai tre mesi. Ulteriori studi epidemiologici stanno valutando la finestra di tempo di vulnerabilità.

Dati confermati


Nell'ambito di questi dati in evoluzione, si inserisce uno studio epidemiologico, il più ampio degli ultimi 20 anni, che si è focalizzato su una coorte danese di 1171 donne e 658 uomini in età fertile. Erano persone che avevano avuto per la prima volta nella vita un disturbo psichiatrico dal momento della nascita del bambino fino a 12 mesi dopo essere diventati genitori. Innanzitutto, hanno verificato che donne che non avevano mai avuto diagnosi del genere diventano improvvisamente a elevato rischio di sottoporsi a terapia psichiatrica se non addirittura al ricovero in ospedale. Inoltre si confermava che il rischio nei primi tre mesi era più alto rispetto all'undicesimo o dodicesimo dopo la nascita del figlio. Nei primi 10 giorni il rischio era triplicato ma nella seconda decina di giorni dal parto diventava sette volte più alto, e la prima esperienza di maternità rappresentava un fattore peggiorativo. Le patologie più frequenti erano i disturbi maggiori dell'umore con un rischio particolare per il disturbo bipolare che nei primi 30 giorni aveva una probabilità 23 volte più alta di svilupparsi e scende a sei volte nei due mesi successivi. Lo stesso dicasi per il rischio di ricovero per psicosi. Come ci si aspettava, tutto ciò non accadeva nella coorte dei padri che non vedevano modificare il proprio rischio di andare incontro a problemi di natura psichiatrica con la nascita del figlio. Questi dati sono abbastanza in linea con due studi analoghi che vennero pubblicati nel 1976 e nel 1987 in cui i primi 90 giorni vennero individuati come i maggiori a rischio ricovero per qualsiasi malattia psichiatrica.

Riconoscere e intervenire

Il riconoscimento della gravidanza e del parto come eventi che condizionano la salute di una donna, è assodato e sulla base dei dati raccolti finora è stato anche possibile definire il lasso di tempo in cui le patologie vanno cercate. La massima attenzione va infatti prestata appena superate le due settimane dal parto ed entro le 12 settimane, cioè la fase più esposta alla comparsa di disturbi maggiori dell'umore. Va ancora indagato l'effetto benefico di questo screening ora consigliato, di certo iniziare un trattamento è una cautela consigliabile poiché gli episodi possono essere lunghi e avere conseguenze psicosociali proporzionali alla loro durata.

Simona Zazzetta



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