31 luglio 2003
Aggiornamenti e focus
Un indice per proteggersi dal sole
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Cielo: da sereno a poco nuvoloso, vento: brezza tesa, mari: da mossi a localmente mossi, indice UV:... ovvero quanta radiazione ultravioletta colpisce o colpirà la superficie terrestre. Potrebbe essere questa la formula con cui il servizio dell'aeronautica militare sciorinerà le previsioni meteorologiche se la proposta della Commissione Difesa Vista (CDV), di introdurre l'indice UV nel servizio meteo, sarà accettata.
Che la radiazione ultravioletta, oltre a donare il desiderato colorito estivo, sia potenzialmente pericolosa è un'informazione ampiamente diffusa. Ma la pericolosità di qualcosa che non si può vedere, perché l'occhio umano vede solo le lunghezze d'onda della radiazione visibile, spesso induce a comportamenti scorretti e dannosi. La percezione non è immediata perché l'effetto non è rapido, quindi crea meno preoccupazione.
Le radiazioni ultraviolette non sono tutte ugualmente pericolose e non tutte raggiungono la superficie terrestre con uguale intensità. Una prima distinzione individua lunghezze d'onda di tipo A, B e C. Le radiazioni UVC sono le più pericolose perché più ricche di energia (vengono usate per la disinfezione di oggetti), ma per fortuna sono completamente bloccate dall'atmosfera e non arrivano sulla terra. Le UVA e B invece interagiscono con l'atmosfera, in particolare con lo strato di ozono, dove rimangono parzialmente intrappolate perché reagiscono chimicamente con le molecole di ozono. La parte che riesce a raggiungere la superficie terrestre ha una componente A più intensa perché la B viene filtrata più efficacemente dall'ozonosfera.
Sostanzialmente, la radiazione UV che arriva sulla superficie terrestre è piuttosto limitata, e quindi anche difficile da misurare. Presenta, inoltre, una spiccata variabilità: nell'arco della giornata e dell'anno, con la latitudine e con l'altitudine del luogo in cui si esegue la misurazione. Varia anche rispetto alla composizione e alla conformazione del suolo, per esempio un manto nevoso o la superficie dell'acqua riflettono la radiazione UV più di un prato. Ciò, chiaramente, crea una difficoltà nel divulgare il valore che necessita di uniformità a livello internazionale.
La pericolosità delle radiazioni ultraviolette si manifesta quando interagiscono con gli organismi viventi. Le parti più colpite sono quelle più esposte, come la pelle e più delicate, come l'occhio.
Per troppo tempo, purtroppo, l'attenzione è stata rivolta agli UVB perché responsabili di scottature ed eritemi, segnali di difesa che l'organismo attua per indurre comportamenti protettivi rispetto all'esposizione al sole. Gli UVA, invece, non generano reazioni così evidenti ma ugualmente interagiscono con il DNA cellulare causando danni molecolari e alterazioni delle cellule immunocompetenti. L'herpes solare è un esempio di danno immunologico localizzato in un'area piuttosto delicata. "L'inadeguatezza delle conoscenze sulle radiazioni ultraviolette" sostiene Leonardo Celleno, direttore del Centro Ricerche Cosmetologiche Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma - "è stata la causa del mancato successo di una campagna australiana degli anni '80 rivolta alla prevenzione dei melanomi, ma incentrata sulla pericolosità delle UVB. Nella popolazione, prevalentemente di origine anglosassone, quindi con fototipo chiaro, si è verificato un incremento dei casi di melanoma".
Anche l'occhio, purtroppo, fa la sua parte. Le patologie oculari riguardano sia la parte interna dell'organo sia le palpebre: carcinoma palpebrale, irritazioni corneali, essiccamento, cheratocongiuntivite attinica, cataratta, sono solo alcune delle malattie che includono come fattore di rischio, se non scatenante, le radiazioni ultraviolette. "E' stato più volte dimostrato che nelle popolazioni che vivono in riva al mare o in città a elevate altitudini c'è una maggior frequenza delle alterazioni oculari" afferma Rosario Brancato, Direttore del Dipartimento Di Oftalmologia e Scienza del San Raffaele di Milano - "e la terapia migliore continua a essere la prevenzione: evitare il più possibile che l'occhio rimanga esposto al sole senza protezione".
"Cure" preventive
Indossare lenti che assorbono la radiazione ultravioletta e filtri solari che proteggano dalle UVA e B è un primo ed essenziale rimedio per evitare fastidiose conseguenze.
La legge, in materia di optometria, è piuttosto attenta: esistono numerose direttive europee che definiscono, mediante certificazione da parte del produttore, l'adeguamento dell'occhiale e della lente alle norme vigenti. Attualmente il rispetto delle norme è garantito da un marchio CE impresso e stampigliato sull'occhiale (diffidare di adesivi o decalcomanie applicate e removibili).
Nel contesto della prevenzione, diventa allora utile un servizio che, con un valore numerico, dia delle indicazioni esatte su un fattore potenzialmente pericoloso che nessuno è in grado di vedere: quando l'indice UV è su valori bassi è sempre bene proteggersi, ma in misura moderata. Quando, invece, il valore è alto diventano indispensabili occhiali da sole a norma, filtri solari adeguati al fototipo, un cappello e, eventualmente, decidere di rimandare la tintarella e rimanere all'ombra il più possibile.
Simona Zazzetta
Salute oggi:
...e inoltre su Dica33:
Che la radiazione ultravioletta, oltre a donare il desiderato colorito estivo, sia potenzialmente pericolosa è un'informazione ampiamente diffusa. Ma la pericolosità di qualcosa che non si può vedere, perché l'occhio umano vede solo le lunghezze d'onda della radiazione visibile, spesso induce a comportamenti scorretti e dannosi. La percezione non è immediata perché l'effetto non è rapido, quindi crea meno preoccupazione.
Radiazione una e trina
Le radiazioni ultraviolette non sono tutte ugualmente pericolose e non tutte raggiungono la superficie terrestre con uguale intensità. Una prima distinzione individua lunghezze d'onda di tipo A, B e C. Le radiazioni UVC sono le più pericolose perché più ricche di energia (vengono usate per la disinfezione di oggetti), ma per fortuna sono completamente bloccate dall'atmosfera e non arrivano sulla terra. Le UVA e B invece interagiscono con l'atmosfera, in particolare con lo strato di ozono, dove rimangono parzialmente intrappolate perché reagiscono chimicamente con le molecole di ozono. La parte che riesce a raggiungere la superficie terrestre ha una componente A più intensa perché la B viene filtrata più efficacemente dall'ozonosfera.
Sostanzialmente, la radiazione UV che arriva sulla superficie terrestre è piuttosto limitata, e quindi anche difficile da misurare. Presenta, inoltre, una spiccata variabilità: nell'arco della giornata e dell'anno, con la latitudine e con l'altitudine del luogo in cui si esegue la misurazione. Varia anche rispetto alla composizione e alla conformazione del suolo, per esempio un manto nevoso o la superficie dell'acqua riflettono la radiazione UV più di un prato. Ciò, chiaramente, crea una difficoltà nel divulgare il valore che necessita di uniformità a livello internazionale.
Danni biologici
La pericolosità delle radiazioni ultraviolette si manifesta quando interagiscono con gli organismi viventi. Le parti più colpite sono quelle più esposte, come la pelle e più delicate, come l'occhio.
Per troppo tempo, purtroppo, l'attenzione è stata rivolta agli UVB perché responsabili di scottature ed eritemi, segnali di difesa che l'organismo attua per indurre comportamenti protettivi rispetto all'esposizione al sole. Gli UVA, invece, non generano reazioni così evidenti ma ugualmente interagiscono con il DNA cellulare causando danni molecolari e alterazioni delle cellule immunocompetenti. L'herpes solare è un esempio di danno immunologico localizzato in un'area piuttosto delicata. "L'inadeguatezza delle conoscenze sulle radiazioni ultraviolette" sostiene Leonardo Celleno, direttore del Centro Ricerche Cosmetologiche Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma - "è stata la causa del mancato successo di una campagna australiana degli anni '80 rivolta alla prevenzione dei melanomi, ma incentrata sulla pericolosità delle UVB. Nella popolazione, prevalentemente di origine anglosassone, quindi con fototipo chiaro, si è verificato un incremento dei casi di melanoma".
Anche l'occhio, purtroppo, fa la sua parte. Le patologie oculari riguardano sia la parte interna dell'organo sia le palpebre: carcinoma palpebrale, irritazioni corneali, essiccamento, cheratocongiuntivite attinica, cataratta, sono solo alcune delle malattie che includono come fattore di rischio, se non scatenante, le radiazioni ultraviolette. "E' stato più volte dimostrato che nelle popolazioni che vivono in riva al mare o in città a elevate altitudini c'è una maggior frequenza delle alterazioni oculari" afferma Rosario Brancato, Direttore del Dipartimento Di Oftalmologia e Scienza del San Raffaele di Milano - "e la terapia migliore continua a essere la prevenzione: evitare il più possibile che l'occhio rimanga esposto al sole senza protezione".
"Cure" preventive
Indossare lenti che assorbono la radiazione ultravioletta e filtri solari che proteggano dalle UVA e B è un primo ed essenziale rimedio per evitare fastidiose conseguenze.
La legge, in materia di optometria, è piuttosto attenta: esistono numerose direttive europee che definiscono, mediante certificazione da parte del produttore, l'adeguamento dell'occhiale e della lente alle norme vigenti. Attualmente il rispetto delle norme è garantito da un marchio CE impresso e stampigliato sull'occhiale (diffidare di adesivi o decalcomanie applicate e removibili).
Nel contesto della prevenzione, diventa allora utile un servizio che, con un valore numerico, dia delle indicazioni esatte su un fattore potenzialmente pericoloso che nessuno è in grado di vedere: quando l'indice UV è su valori bassi è sempre bene proteggersi, ma in misura moderata. Quando, invece, il valore è alto diventano indispensabili occhiali da sole a norma, filtri solari adeguati al fototipo, un cappello e, eventualmente, decidere di rimandare la tintarella e rimanere all'ombra il più possibile.
Simona Zazzetta
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