19 dicembre 2003
Aggiornamenti e focus
Che tempo farà?
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Se su molte altre questioni politico-economiche la volontà dei governi si sposa quasi sempre con l'impegno e la sua concretizzazione, sul clima e sulle cause delle sue modificazioni, dopo anni di incontri, vertici, protocolli questo accordo non si è ancora visto. Mentre si continuano a vedere le conseguenze e i danni che hanno accompagnato i cambiamenti climatici e che alimentano e sostengono le evidenze scientifiche degli effetti profondi sulla salute e sul benessere dei cittadini in tutto il mondo.
Ma per comprendere l'entità dei danni non è necessario andare nei paesi tropicali dove le malattie e i disagi dovuti alle elevate temperature e al clima sfavorevole sono la quotidianità, basta non dimenticare la calda estate del 2003. Solo in Italia le temperature registrate tra il 16 luglio e il 15 agosto hanno mietuto più di 4000 vittime tra la popolazione ultrasessantacinquenne; nei capoluoghi di regione è stato osservato un incremento del 36% rispetto all'anno precedente. Il fenomeno estivo ha interessato anche altre regioni europee caratterizzate da temperature attorno ai 40°C, e in tutto il continente ci sono stati circa 20 mila decessi a causa delle ondate di calore. Nei centri di pronto soccorso sono stati numerosissimi i ricoveri per patologie broncopolmonari, abbassamenti improvvisi della pressione, svenimenti, colpi di calore o congestioni per aver bevuto bibite ghiacciate.
Temperature così alte non si raggiungevano da tempo: il bollettino del Noaa (National Oceanic and Atmospheric Administration) segnala un inizio autunno 2003 (settembre e ottobre) da record con le temperature del suolo e del mare più alte mai registrate dal 1880.
Le conseguenze sulla salute umana si manifestano anche indirettamente con la diffusione di malattie favorita dalle elevate temperature e dall'anomalo aumento delle precipitazioni. Secondo in World Health Report, il cambiamento climatico è, almeno per ora, responsabile del 2,4% di tutti i casi di diarrea nel mondo e del 2% di tutti i casi di malaria. Normalmente malattie come la malaria, la febbre di Dengue e le infezioni diarroiche, hanno sempre interessato aree tropicali e paesi in via di sviluppo o comunque con scarse condizioni igieniche. Il resto del mondo quindi si è sempre sentito al sicuro, nella convinzione di conoscere e di poter controllare queste patologie. Ma alcune di queste certezze potrebbero crollare, soprattutto quando gli agenti patogeni e i vettori che diffondono la malattia sono strettamente correlati alle condizioni climatiche e alla disponibilità si acqua. L'aumento della temperatura e delle piogge, inatteso in certe aree geografiche, espone la popolazione locale al rischio di proliferazione dei patogeni e/o dei loro vettori. Un variazione di uno degli elementi del ciclo vitale dell'agente eziologico comporterebbe una variazione dell'epidemiologia della malattia e quindi una perdita del controllo da parte degli strumenti oggi efficaci per combatterla.
Inoltre, di solito sono malattie che presentano stagionalità, va da sé che cambiando la lunghezza delle stagioni cambia anche la lunghezza del periodo di rischio, spesso ampliandosi. Lo confermano i risultati di uno studio recentemente pubblicato su The Lancet secondo cui il prolungamento della stagione in cui la malaria solitamente si diffonde maggiormente sta modificando gli schemi di diffusione della malattia.
Per non stare a guardare
Le occasioni per discutere e trovare le soluzioni non sono certo mancate, tra le più note la Conferenza di Kyoto che nel 1997 ha cercato l'accordo sulla riduzione delle emissioni di anidride carbonica e gas serra attraverso l'omonimo Protocollo, tra i paesi maggiormente sviluppati.
Nel 1992 nasce la Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (United Nations Framework Convention on Climate Change - UNFCCC) per contrastare e ridurre al minimo gli effetti negativi dei cambiamenti climatici ogni anno. Dal 1995 si rinnova l'incontro della Conferenza della Parti (COP) per attuare e aggiornare i principi e gli impegni della Convenzione UNFCCC. Il più recente, il COP9, si è tenuto all'inizio di dicembre a Milano ed è terminato con alcuni importanti risultati: la definizione della connessione tra gli impegni sul clima e quelli sullo sviluppo sostenibile e delle indicazioni per le pratiche agroforestali nell'uso del suolo.
Anche l'Organizzazione Mondiale della Salute si è occupata dei cambiamenti climatici e degli effetti sulla salute umana, con una pubblicazione in cui compaiono ampie trattazioni sugli scenari attuali e possibili. Il documento spiega bene quali siano le conseguenze secondo dei modelli predittivi, per esempio, sempre per la malaria è previsto un aumento del 3-5% del rischio per un aumento di temperatura di 2-3°C. Tra le altre cose, analizza anche gli affetti dell'aumento della radiazione ultravioletta sulla pelle, sugli occhi, sulla suscettibilità alle infezioni.
Non è stato facile finora intervenire e non lo sarà in futuro perché in questo caso gli interessi economici a breve termine non coincidono con quelli ecologici a lungo termine. Ma forse non è rimasto poi così tanto tempo.
Simona Zazzetta
Salute oggi:
...e inoltre su Dica33:
Un'estate da (non) dimenticare
Ma per comprendere l'entità dei danni non è necessario andare nei paesi tropicali dove le malattie e i disagi dovuti alle elevate temperature e al clima sfavorevole sono la quotidianità, basta non dimenticare la calda estate del 2003. Solo in Italia le temperature registrate tra il 16 luglio e il 15 agosto hanno mietuto più di 4000 vittime tra la popolazione ultrasessantacinquenne; nei capoluoghi di regione è stato osservato un incremento del 36% rispetto all'anno precedente. Il fenomeno estivo ha interessato anche altre regioni europee caratterizzate da temperature attorno ai 40°C, e in tutto il continente ci sono stati circa 20 mila decessi a causa delle ondate di calore. Nei centri di pronto soccorso sono stati numerosissimi i ricoveri per patologie broncopolmonari, abbassamenti improvvisi della pressione, svenimenti, colpi di calore o congestioni per aver bevuto bibite ghiacciate.
Temperature così alte non si raggiungevano da tempo: il bollettino del Noaa (National Oceanic and Atmospheric Administration) segnala un inizio autunno 2003 (settembre e ottobre) da record con le temperature del suolo e del mare più alte mai registrate dal 1880.
Infezioni (per ora) tropicali
Le conseguenze sulla salute umana si manifestano anche indirettamente con la diffusione di malattie favorita dalle elevate temperature e dall'anomalo aumento delle precipitazioni. Secondo in World Health Report, il cambiamento climatico è, almeno per ora, responsabile del 2,4% di tutti i casi di diarrea nel mondo e del 2% di tutti i casi di malaria. Normalmente malattie come la malaria, la febbre di Dengue e le infezioni diarroiche, hanno sempre interessato aree tropicali e paesi in via di sviluppo o comunque con scarse condizioni igieniche. Il resto del mondo quindi si è sempre sentito al sicuro, nella convinzione di conoscere e di poter controllare queste patologie. Ma alcune di queste certezze potrebbero crollare, soprattutto quando gli agenti patogeni e i vettori che diffondono la malattia sono strettamente correlati alle condizioni climatiche e alla disponibilità si acqua. L'aumento della temperatura e delle piogge, inatteso in certe aree geografiche, espone la popolazione locale al rischio di proliferazione dei patogeni e/o dei loro vettori. Un variazione di uno degli elementi del ciclo vitale dell'agente eziologico comporterebbe una variazione dell'epidemiologia della malattia e quindi una perdita del controllo da parte degli strumenti oggi efficaci per combatterla.
Inoltre, di solito sono malattie che presentano stagionalità, va da sé che cambiando la lunghezza delle stagioni cambia anche la lunghezza del periodo di rischio, spesso ampliandosi. Lo confermano i risultati di uno studio recentemente pubblicato su The Lancet secondo cui il prolungamento della stagione in cui la malaria solitamente si diffonde maggiormente sta modificando gli schemi di diffusione della malattia.
Per non stare a guardare
Le occasioni per discutere e trovare le soluzioni non sono certo mancate, tra le più note la Conferenza di Kyoto che nel 1997 ha cercato l'accordo sulla riduzione delle emissioni di anidride carbonica e gas serra attraverso l'omonimo Protocollo, tra i paesi maggiormente sviluppati.
Nel 1992 nasce la Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (United Nations Framework Convention on Climate Change - UNFCCC) per contrastare e ridurre al minimo gli effetti negativi dei cambiamenti climatici ogni anno. Dal 1995 si rinnova l'incontro della Conferenza della Parti (COP) per attuare e aggiornare i principi e gli impegni della Convenzione UNFCCC. Il più recente, il COP9, si è tenuto all'inizio di dicembre a Milano ed è terminato con alcuni importanti risultati: la definizione della connessione tra gli impegni sul clima e quelli sullo sviluppo sostenibile e delle indicazioni per le pratiche agroforestali nell'uso del suolo.
Anche l'Organizzazione Mondiale della Salute si è occupata dei cambiamenti climatici e degli effetti sulla salute umana, con una pubblicazione in cui compaiono ampie trattazioni sugli scenari attuali e possibili. Il documento spiega bene quali siano le conseguenze secondo dei modelli predittivi, per esempio, sempre per la malaria è previsto un aumento del 3-5% del rischio per un aumento di temperatura di 2-3°C. Tra le altre cose, analizza anche gli affetti dell'aumento della radiazione ultravioletta sulla pelle, sugli occhi, sulla suscettibilità alle infezioni.
Non è stato facile finora intervenire e non lo sarà in futuro perché in questo caso gli interessi economici a breve termine non coincidono con quelli ecologici a lungo termine. Ma forse non è rimasto poi così tanto tempo.
Simona Zazzetta
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