Scorre ma sempre meno

20 giugno 2008
Aggiornamenti e focus

Scorre ma sempre meno



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Nel 1995 il vicepresidente della Banca Mondiale Ismail Serageldin sosteneva: "Nel prossimo secolo le guerre scoppieranno per l'acqua e non più per il petrolio o per motivi politici".
Secondo le ultime stime 1 miliardo e 400 milioni di persone nel mondo non ha accesso all'acqua potabile, mentre per più di 2 miliardi la qualità dell'acqua lascia a desiderare, tanto che 200 milioni di bambini muoiono ogni anno per il consumo di acqua insalubre o per le cattive condizioni sanitarie che ne derivano. Si calcola che dal 1950 al 1995 la quantità d'acqua dolce ragionevolmente disponibile pro capite è diminuita da 17000 m3 a 7500 m3 (UNESCO Sources,1996). Se non ci sarà un'inversione di tendenza, il numero di persone che non avranno accesso all'acqua potabile si eleverà nel 2020 a più di 4 miliardi!
Eppure la superficie terrestre è coperta per il 71% da acqua, ma questa è costituita per il 97,5% da acqua salata (non utilizzabile se non dopo costosissimi processi di desalinizzazione), mentre l'acqua dolce rappresenta solo lo 0,008% dell'acqua totale del pianeta. Di questa solo lo 0,3% è localizzato in fiumi e laghi e quindi potenzialmente disponibile, mentre il resto è imprigionato in ghiacciai e nevi permanenti (68,9%) o confinato nel sottosuolo (29,9%). Inoltre le risorse idriche sono distribuite geograficamente in modo ineguale: sono concentrate in alcuni bacini in Siberia, nella regione dei Grandi Laghi in Nord America, nei laghi Tanganika, Vittoria e Malawi in Africa, e per il 27% costituite dai cinque più grandi sistemi fluviali: il Rio delle Amazzoni, il Gange con il Bramaputra, il Congo, lo Yangtze e l'Orinoco.
Ciò significa che circa il 40% della popolazione mondiale si trova in stato di penuria, soprattutto nelle regioni dell'Africa del Nord e del Medio Oriente.
La disuguale distribuzione naturale delle fonti idriche è solo una delle cause della scarsità d'acqua che già oggi crea conflitti, più o meno armati, tra gli stati o tra le regioni interne ad essi. Infatti a minare la capacità di rinnovo dell'acqua all'interno del suo ciclo naturale è la gestione inefficace e dilapidatrice delle risorse disponibili rintracciabile in alcuni principali fenomeni:
  • Disuguale distribuzione dei consumi a livello mondiale, gravemente sbilanciati a favore dei paesi ricchi che rappresentano l'11% della popolazione mondiale, ma consumano l'88% del consumo mondiale (consumi d'acqua compresi). Si calcola che 100 milioni di americani consumano tanta acqua quanto 7 miliardi di indiani poveri.
  • Processi d'inquinamento delle acque, dovuti all'utilizzazione massiccia di prodotti chimici in agricoltura (fertilizzanti e pesticidi), all'assenza di trattamento degli scarichi domestici e industriali, alla degradazione del suolo per disboscamento e per desertificazione.
  • Sprechi nel prelievo, i sistemi d'irrigazione agricola intensiva (l'80% del consumo di acqua dolce) perdono in media il 40% dell'acqua che consumano, mentre nei sistemi di alimentazione, per le perdite, si spreca circa il 50% dell'acqua.
  • Cambiamenti climatici globali, anche l'effetto serra, causato dall'aumento della concentrazione di CO2 in atmosfera, avrà ripercussioni sull'assetto idrico del pianeta con una diminuzione del 10% delle precipitazioni nelle zone aride e lo stravolgimento della distribuzione delle portate dei fiumi nel corso dell'anno nelle zone fredde e temperate.
In risposta a questa situazione di crisi, nonostante i numerosi incontri internazionali e le tante dichiarazioni d'intenti sul problema delle risorse idriche, una risposta concreta di gestione integrata e globale non è mai stata data.
Anzi, la Banca Mondiale (tra i primi organismi internazionali a dispensare finanziamenti e quindi ad imporre politiche a tutti i paesi del mondo) ha visto bene di sostenere, anche in questo campo, politiche di privatizzazione aprendo la strada all'acquisizione da parte delle multinazionali del settore di sorgenti d'acqua dolce, impianti di distribuzione e di depurazione.
Così multinazionali come la Lyonnaise des Eaux , la Vivendi, o la Danone traggono grandi guadagni con il mercato dell'acqua minerale ma spesso questo significa anche sottrarre alle popolazioni locali un bene fondamentale per la propria sopravvivenza. Spesso le stesse aziende gestiscono anche le reti idriche di grandi centri urbani (solo la Lyonnaise des Eaux ha in gestione i sistemi idrici di 14 grandi città, come Manila, Budapest, Giacarta, Indianapolis, Postdam...) a prezzi fissati dalla necessità di fare profitto e non da uno spirito di equa distribuzione di un servizio a cui tutti dovrebbero poter accedere senza distinzioni di censo.
Questa tendenza non ha risparmiato l'Italia: aziende municipalizzate come l'ACEA di Roma, l'AMM di Milano e l'AMT di Torino, si sono lanciate in una campagna di espansione multisettoriale in Italia e all'estero, in linea con la politica di privatizzazione dei servizi d'acqua promossa dalla "legge Galli" (n.36/1994). Paradossalmente l'Italia, paese mediamente ricco di acqua, non riesce a garantire un accesso regolare e sufficiente all'acqua potabile con punte di carenza dell'88%in Calabria e Molise, a causa di reti di distribuzione inadeguate e fatiscenti, ma soprattutto a causa di una spesa pubblica sbilanciata a favore di grandi opere pubbliche che spesso degradano le risorse idriche esistenti, come nel caso dell'abbassamento e inquinamento delle falde acquifere del Gran Sasso a causa dei due trafori realizzati e del terzo in procinto di realizzazione. Il fatto è che con la prospettiva che l'acqua sia un bene prezioso, e sempre meno rinnovabile, si deve cominciare a fare i conti.

Alice Zazzetta



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