20 giugno 2008
Aggiornamenti e focus
Acque poco (o troppo?) terapeutiche
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Opinione pubblica, ricercatori, politica e ambientalisti hanno sempre, o quasi, focalizzato l'attenzione sull'inquinamento delle acque causato da attività umane: pesticidi, prodotti chimici, liquami e contaminazione organica. Un nuovo rischio, da alcuni anni e ancora in sordina, si è affacciato sull'ambiente: la contaminazione da farmaci per uso umano. E per quanto gli studi siano ancora pochi, le riviste scientifiche e le agenzie iniziano a riportare notizie e informazioni in merito.
Una delle segnalazioni più recenti risale a marzo 2008 quando l'Associated Press (AP) si è occupata dell'argomento andando a indagare nei database federali sull'acqua potabile, nei report scientifici, nei luoghi di studio ambientale, negli impianti di depurazione e intervistando esperti e tecnici. E' emerso che, nelle acque potabili già trattate di Philadelphia, sono state rilevate tracce di 56 farmaci e sottoprodotti del metabolismo di questi, derivati da medicinali per curare dolore, infezioni, ipercolesterolemia, asma, allergia, malattie cardiache, epilessie, malattie mentali. Nello spartiacque della città ne sono stati rilevati 63. Nel Sud della California, nelle acque potabili destinate a 18 milioni di persone, sono stati trovati farmaci antiepilettici e ansiolitici, in quelle del Nord del New Jersey, invece, c'erano farmaci per curare l'angina e carbamazepina, uno psicofarmaco, in quelle di San Francisco ormoni sessuali. A Washington e a Tucson l'acqua del rubinetto era positiva a sei e a tre farmaci, rispettivamente. Ma il fenomeno non è certo ristretto ai confini statunitensi e approda anche in Europa con vari casi segnalati anche in Italia: nelle acque superficiali e in quelle potabili del lago Maggiore, per altro, con concentrazioni quasi identiche, sono stati trovati carbamazepina, sulfametoxazolo, un antibiotico, gemfibrozil e benzafibrato, farmaci usati per ridurre i livelli di trigliceridi, a dimostrazione di una scarsa efficienza della filtrazione e trattamento negli acquedotti.
Un giornalista inglese ha riportato l'argomento all'attenzione del mondo scientifico con un commento pubblicato dal British Medical Journal. Geoff Watts si domanda se la denuncia fatta allora da AP non fosse altro che sensazionalismo mediatico; ma l'audizione senatoriale indetta negli Stati Uniti subito dopo depone a favore di qualcosa di più concreto che ha messo in allarme le autorità. E che comunque ha portato a una considerazione: per quanto basse siano le concentrazioni i rilevamenti hanno minato la rassicurante convinzione che gli impianti di depurazione possano rimuovere tutti i contaminanti. E fa riflettere anche la richiesta da parte dell'EMEA, ente europeo che approva i farmaci, alle aziende di presentare anche il profilo di impatto ambientale per i nuovi prodotti. Resta da chiedersi se le basse concentrazioni possano comunque rappresentare un rischio per la salute (oltre che per l'ambiente) dal momento che quelle rilevate sono ben lontane da quelle considerate terapeutiche e quindi attive, e anche per il feto si è ancora abbondantemente sotto la dose terapeutica. Tuttavia il responsabile del Centre for Toxicology della London School of Pharmacy, evoca un potenziale effetto cocktail dato dalla miscela di più composti: "E' possibile - sostiene Andreas Kortenkamp - che diversi composti chimici insieme possano avere un'azione anche se presenti a livelli che individualmente non inducono effetti. Per questo motivo concentrarsi sui rischi ambientali del singolo composto può essere fuorviante". Uno studio condotto all'Università dell'Insubria, a Varese, ha verificato, in vitro, effetti inibitori sulla crescita di linee cellulari embrionali umane di miscele di farmaci a concentrazioni nell'ordine del nanogrammo per litro. La mancanza di dati è anche dovuta a una sperimentazione dei farmaci nelle dosi cliniche e nel breve termine, ma nel lungo termine a dosi molto basse potrebbero avere effetti non noti che seguono altre vie metaboliche magari anche senza modificare parametri fisiologici.
Proposte percorribili
Watts fa anche notare che uno dei possibili approcci al problema potrebbe essere una gestione diversa degli scarichi ospedalieri dove si concentrano le escrezioni contenenti farmaci, prevedendo un pretrattamento specifico. Anche se ciò richiederebbe una gestione particolare dei pazienti in terapia citotossica non ricoverati: dovrebbero essere trattenuti in ospedale per 12-24 ore. Ma anche uno smaltimento più idoneo dei farmaci scaduti spesso gettati direttamente negli scarichi domestici potrebbe essere un contributo alla prevenzione. Non vanno poi persi di vista paesi come la Cina in rapido sviluppo economico, dove il consumo di acqua e di farmaci verosimilmente aumenterà in breve tempo. Resta comunque aperta la domanda sui rischi per la salute umana, dal momento che non ci sono studi specifici, anche se l'esperienza insegna che prima arrivano gli effetti e poi le evidenze scientifiche.
Simona Zazzetta
Salute oggi:
...e inoltre su Dica33:
Potabili ma non incontaminate
Una delle segnalazioni più recenti risale a marzo 2008 quando l'Associated Press (AP) si è occupata dell'argomento andando a indagare nei database federali sull'acqua potabile, nei report scientifici, nei luoghi di studio ambientale, negli impianti di depurazione e intervistando esperti e tecnici. E' emerso che, nelle acque potabili già trattate di Philadelphia, sono state rilevate tracce di 56 farmaci e sottoprodotti del metabolismo di questi, derivati da medicinali per curare dolore, infezioni, ipercolesterolemia, asma, allergia, malattie cardiache, epilessie, malattie mentali. Nello spartiacque della città ne sono stati rilevati 63. Nel Sud della California, nelle acque potabili destinate a 18 milioni di persone, sono stati trovati farmaci antiepilettici e ansiolitici, in quelle del Nord del New Jersey, invece, c'erano farmaci per curare l'angina e carbamazepina, uno psicofarmaco, in quelle di San Francisco ormoni sessuali. A Washington e a Tucson l'acqua del rubinetto era positiva a sei e a tre farmaci, rispettivamente. Ma il fenomeno non è certo ristretto ai confini statunitensi e approda anche in Europa con vari casi segnalati anche in Italia: nelle acque superficiali e in quelle potabili del lago Maggiore, per altro, con concentrazioni quasi identiche, sono stati trovati carbamazepina, sulfametoxazolo, un antibiotico, gemfibrozil e benzafibrato, farmaci usati per ridurre i livelli di trigliceridi, a dimostrazione di una scarsa efficienza della filtrazione e trattamento negli acquedotti.
Bastano pochi nanogrammi
Un giornalista inglese ha riportato l'argomento all'attenzione del mondo scientifico con un commento pubblicato dal British Medical Journal. Geoff Watts si domanda se la denuncia fatta allora da AP non fosse altro che sensazionalismo mediatico; ma l'audizione senatoriale indetta negli Stati Uniti subito dopo depone a favore di qualcosa di più concreto che ha messo in allarme le autorità. E che comunque ha portato a una considerazione: per quanto basse siano le concentrazioni i rilevamenti hanno minato la rassicurante convinzione che gli impianti di depurazione possano rimuovere tutti i contaminanti. E fa riflettere anche la richiesta da parte dell'EMEA, ente europeo che approva i farmaci, alle aziende di presentare anche il profilo di impatto ambientale per i nuovi prodotti. Resta da chiedersi se le basse concentrazioni possano comunque rappresentare un rischio per la salute (oltre che per l'ambiente) dal momento che quelle rilevate sono ben lontane da quelle considerate terapeutiche e quindi attive, e anche per il feto si è ancora abbondantemente sotto la dose terapeutica. Tuttavia il responsabile del Centre for Toxicology della London School of Pharmacy, evoca un potenziale effetto cocktail dato dalla miscela di più composti: "E' possibile - sostiene Andreas Kortenkamp - che diversi composti chimici insieme possano avere un'azione anche se presenti a livelli che individualmente non inducono effetti. Per questo motivo concentrarsi sui rischi ambientali del singolo composto può essere fuorviante". Uno studio condotto all'Università dell'Insubria, a Varese, ha verificato, in vitro, effetti inibitori sulla crescita di linee cellulari embrionali umane di miscele di farmaci a concentrazioni nell'ordine del nanogrammo per litro. La mancanza di dati è anche dovuta a una sperimentazione dei farmaci nelle dosi cliniche e nel breve termine, ma nel lungo termine a dosi molto basse potrebbero avere effetti non noti che seguono altre vie metaboliche magari anche senza modificare parametri fisiologici.
Proposte percorribili
Watts fa anche notare che uno dei possibili approcci al problema potrebbe essere una gestione diversa degli scarichi ospedalieri dove si concentrano le escrezioni contenenti farmaci, prevedendo un pretrattamento specifico. Anche se ciò richiederebbe una gestione particolare dei pazienti in terapia citotossica non ricoverati: dovrebbero essere trattenuti in ospedale per 12-24 ore. Ma anche uno smaltimento più idoneo dei farmaci scaduti spesso gettati direttamente negli scarichi domestici potrebbe essere un contributo alla prevenzione. Non vanno poi persi di vista paesi come la Cina in rapido sviluppo economico, dove il consumo di acqua e di farmaci verosimilmente aumenterà in breve tempo. Resta comunque aperta la domanda sui rischi per la salute umana, dal momento che non ci sono studi specifici, anche se l'esperienza insegna che prima arrivano gli effetti e poi le evidenze scientifiche.
Simona Zazzetta
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