20 giugno 2008
Aggiornamenti e focus
Preparati al bioterrorismo?
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Mentre all'orizzonte si profilano scenari di guerra inquietanti, nell'opinione pubblica va sempre più diffondendosi la psicosi da minaccia terroristica e in particolare la paura del cosiddetto attacco chimico-batteriologico. Le domande sono molte: attaccheranno con armi chimiche e biologiche? Come? Con quali effetti? E soprattutto quale risposta siamo pronti a dare a un attacco di questa portata? Domande che in tempi non sospetti, nel maggio scorso, si è fatto anche un editoriale dell'American Journal of Public Health, con risposte per la verità non del tutto rassicuranti.
Negli ultimi dieci anni episodi come lo scoppio di una bomba in uffici federali in Oklahoma , il primo attacco al World Trade Center di New York, la distruzione di ambasciate americane in Africa e l'attacco a navi da guerra americane nello Yemen, hanno acuito il generale senso di vulnerabilità rispetto agli attacchi terroristici. "Stati canaglia", arsenali di armi, reti terroristiche globali e non meglio definite risorse a disposizione di individui squilibrati e fanatici hanno fatto così capolino nei titoli dei giornali, nelle dichiarazioni ufficiali. Una situazione che è inevitabilmente "tracollata" col recente attacco alle torri gemelle e che ha riproposto in modo più inquietante che mai il dubbio su l'eventuale impreparazione ad attacchi di massa, e tutto questo a fronte dei miliardi investiti dall'amministrazione Clinton per la difesa dal terrorismo. Si tratta di un argomento di interesse immediato e diretto per la salute pubblica e di riflesso per i medici che della salute dovrebbero essere i tutori, inevitabile così l'aspro dibattito che si è sviluppato negli Stati Uniti sull'argomento.
Queste le domande che la nota rivista americana si è posta la scorsa primavera: esiste una reale minaccia di guerra chimico-biologica? Si può precisare la scala dell'attacco e la grandezza degli effetti? Ci può essere una risposta efficace e nel contempo anche sicura e poco costosa? Quali le ricadute per i dipartimenti di salute pubblica e i medici? Il pericolo di un attacco di questo tipo era nel maggio scorso, decisamente sottostimato, molto basso poco sopra lo zero. Del resto fino ad allora solo 3 erano stati gli incidenti documentati nei precedenti 16 anni: un avvelenamento doloso da salmonella in Oregon nel 1984 con centinaia di malati ma nessun episodio mortale, e due attacchi con il sarin, meglio conosciuto come gas nervino, in Giappone nel 1994 e nel 1995 con venti vittime in tutto. Ecco perché mancano, per fortuna, riferimenti reali e ogni articolo che ventila una scarsa preparazione difensiva evoca scenari allarmanti e tragici, per ora solo ipotetici o basati su simulazioni.
I dati a disposizione
L'anno scorso, le autorità sanitarie americane hanno condotto un test (nome in codice Topoff) che simulava la diffusione di un aerosol di batteri (Yersinia pestis) della peste nera. In pochi giorni, c'erano 4 mila infettati e 2 mila morti. Non si trovava più un posto letto, gli ospedali erano chiusi, le medicine finite. L'esercitazione è stata ripetuta, con il nome Inverno scuro, nel giugno scorso, questa volta in Oklahoma, e con il vaiolo. Da 3 mila casi iniziali nell'area di contagio, l'infezione è esplosa, nella simulazione, a centinaia di migliaia di vittime in tutti gli Stati Uniti, nel giro di 12 giorni con un collasso del sistema commerciale e scontri nelle strade. Ancora secondo l'American Journal of Public Health su 200 ospedali, solo uno su cinque aveva un piano anti bioterrorismo, meno della metà aveva un'unità di decontaminazione con docce, meno di un terzo disponeva di antidoti al gas nervino. I due terzi disponevano di dosi di vaccino in grado di curare al massimo 50 casi di antrace. Solo il 12% aveva maschere antigas per i dottori. Un quadro non del tutto rallegrante a cui si aggiunge il problema di scoprire in tempo il contagio. Va aggiunto poi che in America la spinta alla privatizzazione ha ridimensionato gli ospedali pubblici, mentre i laboratori privati pagano solo i test che "vale la pena" pagare, con tutto quello che ciò comporta. Ma quali sono le possibili minacce?
La minaccia chimica e biologica
Lo spettro del bioterrorismo prende al momento secondo l'opinione degli esperti quattro direttrici fondamentali:
Antrace
Si tratta di un batterio che dà i sintomi dell'influenza, ma 24-48 ore dopo che i sintomi si sono manifestati, l'80% degli infettati muore. Il periodo di incubazione va dai 2 ai 43 giorni. Gli antibiotici devono essere somministrati prima che appaiono i sintomi.
Vaiolo
È ufficialmente scomparso alla fine degli anni '70, ma esistono campioni del virus in molti laboratori e l'Urss ne avrebbe avuto interi depositi. 50 persone infettate possono scatenare un'epidemia che ucciderebbe il 30% della popolazione contagiata.
Peste
50 chili di batteri sparsi sopra una città di 5 milioni di abitanti, infetterebbero almeno 150 mila persone e ne ammazzerebbero 35 mila. I sintomi si manifestano da uno a sei giorni dopo l'esposizione all'infezione
Sarin
È il gas nervino sviluppato nei laboratori militari, già utilizzato, come detto, in Giappone con 20 vittime e cinquemila contaminati.
Una nota positiva però, se possibile, è stata pubblicata su Repubblica del 24 settembre. Secondo Eric Croddy, del Monterey Institute of International Studies si tratta di armi difficili da maneggiare, da fabbricare, da usare. In sostanza la guerra chimica o batteriologica può essere letale ma è meno facile da usare di quanto appaia a prima vista. Sarà vero?
Marco Malagutti
Salute oggi:
...e inoltre su Dica33:
Verso nuove minacce
Negli ultimi dieci anni episodi come lo scoppio di una bomba in uffici federali in Oklahoma , il primo attacco al World Trade Center di New York, la distruzione di ambasciate americane in Africa e l'attacco a navi da guerra americane nello Yemen, hanno acuito il generale senso di vulnerabilità rispetto agli attacchi terroristici. "Stati canaglia", arsenali di armi, reti terroristiche globali e non meglio definite risorse a disposizione di individui squilibrati e fanatici hanno fatto così capolino nei titoli dei giornali, nelle dichiarazioni ufficiali. Una situazione che è inevitabilmente "tracollata" col recente attacco alle torri gemelle e che ha riproposto in modo più inquietante che mai il dubbio su l'eventuale impreparazione ad attacchi di massa, e tutto questo a fronte dei miliardi investiti dall'amministrazione Clinton per la difesa dal terrorismo. Si tratta di un argomento di interesse immediato e diretto per la salute pubblica e di riflesso per i medici che della salute dovrebbero essere i tutori, inevitabile così l'aspro dibattito che si è sviluppato negli Stati Uniti sull'argomento.
Le questioni critiche
Queste le domande che la nota rivista americana si è posta la scorsa primavera: esiste una reale minaccia di guerra chimico-biologica? Si può precisare la scala dell'attacco e la grandezza degli effetti? Ci può essere una risposta efficace e nel contempo anche sicura e poco costosa? Quali le ricadute per i dipartimenti di salute pubblica e i medici? Il pericolo di un attacco di questo tipo era nel maggio scorso, decisamente sottostimato, molto basso poco sopra lo zero. Del resto fino ad allora solo 3 erano stati gli incidenti documentati nei precedenti 16 anni: un avvelenamento doloso da salmonella in Oregon nel 1984 con centinaia di malati ma nessun episodio mortale, e due attacchi con il sarin, meglio conosciuto come gas nervino, in Giappone nel 1994 e nel 1995 con venti vittime in tutto. Ecco perché mancano, per fortuna, riferimenti reali e ogni articolo che ventila una scarsa preparazione difensiva evoca scenari allarmanti e tragici, per ora solo ipotetici o basati su simulazioni.
I dati a disposizione
L'anno scorso, le autorità sanitarie americane hanno condotto un test (nome in codice Topoff) che simulava la diffusione di un aerosol di batteri (Yersinia pestis) della peste nera. In pochi giorni, c'erano 4 mila infettati e 2 mila morti. Non si trovava più un posto letto, gli ospedali erano chiusi, le medicine finite. L'esercitazione è stata ripetuta, con il nome Inverno scuro, nel giugno scorso, questa volta in Oklahoma, e con il vaiolo. Da 3 mila casi iniziali nell'area di contagio, l'infezione è esplosa, nella simulazione, a centinaia di migliaia di vittime in tutti gli Stati Uniti, nel giro di 12 giorni con un collasso del sistema commerciale e scontri nelle strade. Ancora secondo l'American Journal of Public Health su 200 ospedali, solo uno su cinque aveva un piano anti bioterrorismo, meno della metà aveva un'unità di decontaminazione con docce, meno di un terzo disponeva di antidoti al gas nervino. I due terzi disponevano di dosi di vaccino in grado di curare al massimo 50 casi di antrace. Solo il 12% aveva maschere antigas per i dottori. Un quadro non del tutto rallegrante a cui si aggiunge il problema di scoprire in tempo il contagio. Va aggiunto poi che in America la spinta alla privatizzazione ha ridimensionato gli ospedali pubblici, mentre i laboratori privati pagano solo i test che "vale la pena" pagare, con tutto quello che ciò comporta. Ma quali sono le possibili minacce?
La minaccia chimica e biologica
Lo spettro del bioterrorismo prende al momento secondo l'opinione degli esperti quattro direttrici fondamentali:
Antrace
Si tratta di un batterio che dà i sintomi dell'influenza, ma 24-48 ore dopo che i sintomi si sono manifestati, l'80% degli infettati muore. Il periodo di incubazione va dai 2 ai 43 giorni. Gli antibiotici devono essere somministrati prima che appaiono i sintomi.
Vaiolo
È ufficialmente scomparso alla fine degli anni '70, ma esistono campioni del virus in molti laboratori e l'Urss ne avrebbe avuto interi depositi. 50 persone infettate possono scatenare un'epidemia che ucciderebbe il 30% della popolazione contagiata.
Peste
50 chili di batteri sparsi sopra una città di 5 milioni di abitanti, infetterebbero almeno 150 mila persone e ne ammazzerebbero 35 mila. I sintomi si manifestano da uno a sei giorni dopo l'esposizione all'infezione
Sarin
È il gas nervino sviluppato nei laboratori militari, già utilizzato, come detto, in Giappone con 20 vittime e cinquemila contaminati.
Una nota positiva però, se possibile, è stata pubblicata su Repubblica del 24 settembre. Secondo Eric Croddy, del Monterey Institute of International Studies si tratta di armi difficili da maneggiare, da fabbricare, da usare. In sostanza la guerra chimica o batteriologica può essere letale ma è meno facile da usare di quanto appaia a prima vista. Sarà vero?
Marco Malagutti
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