I pericoli dell'uranio impoverito

20 giugno 2008
Aggiornamenti e focus

I pericoli dell'uranio impoverito



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Sembra che i proiettili a uranio impoverito abbondantemente impiegati in Kosovo siano una novità di questi ultimissimi tempi, ma in realtà non è così. Queste munizioni, e in parte il loro impiego, vantano una storia ormai piuttosto lunga. Non sondo storia di oggi nemmeno le preoccupazioni per i loro effetti sulla salute dei soldati impegnati sul campo di battaglia e neppure gli studi dedicati a questo tema. Non è difficile, quindi, fare il punto della situazione.

Che cos'è l'uranio impoverito


L'uranio, è noto, è un minerale radioattivo, largamente impiegato come combustibile nucleare nelle centrali atomiche. L'uranio, però, non viene impiegato così come viene estratto, ma è sottoposto a un procedimento di arricchimento. Uno dei sottoprodotti di questo processo è l'uranio impoverito, che presenta una radioattività inferiore a quella dell'uranio naturale di circa il 40%.

Perché lo si usa nei proiettili


Intanto non veine impiegato soltanto nelle munizioni, ma anche per realizzare gli stabilizzatori di aerei e navi. In pratica l'uranio impoverito trova impiego dovunque sia necessario concentrare una grande massa (peso) in poco spazio. Nei proiettili anticarro, che devono perforare le corazza dei carri armati, questo metallo pesante costituisce il nucleo (penetratore) che grazie al suo grande peso e alle sue dimensioni contenute scarica su un'area ridotta una grande energia cinetica, potendo così penetrare gli spessi strati delle difese del carro. In effetti a questo scopo si possono impiegare anche altri metalli pesanti (per esempio il tungsteno) ma probabilmente la scelta è caduta sull'uranio impoverito perché più pesante e, soprattutto, più a buon mercato trattandosi di materiale per così dire di scarto che viene praticamente acquisito gratis dai fabbricanti di armi. In conclusione è in virtù della sua massa, e non certo per la debole radioattività, che l'uranio impoverito viene impiegato nelle munizioni.

Non è uno sviluppo recente

L'idea di usare l'uranio impoverito al posto del tungsteno per i proiettili perforanti risale agli anni cinquanta. I primi esperimenti "sul campo", però, furono condotti 1974, durante la guerra del Kippur, quando queste munizioni furono fornite dagli Stati Uniti alle forze armate israeliane allora impegnato con gli eserciti di Egitto, Siria e Giordania. In seguito furono impiegate in Iraq durante la Guerra del Golfo (1991) . E' vero che sono impiegate soprattutto da sistemi d'arma statunitensi (i cannoni degli aerei cacciacarri A-10 e dei carri armati M-1) ma sono in dotazione anche alla Gran Bretagna.
Chiunque avesse aperto uno dei molti libri o delle molte riviste dedicate agli armamenti avrebbe potuto apprendere senza difficoltà dell'esistenza di questi ordigni, e del fatto che erano già stati impiegati.

I pericoli dell'uranio impoverito

Questo metallo emette particelle alfa, beta e raggi gamma. Sia le particelle alfa sia quelle beta non hanno una grande capacità di penetrazione e, in pratica, possono essere arrestate già dalla pelle o al massimo dal tessuto delle uniformi. I raggi gamma no, sono radiazioni ad alta energia ma, come si è detto, l'emissione dell'uranio impoverito è molto debole. Inoltre si deve tenere presente che il nucleo di uranio è posto all'interno del proiettile e, quindi, la radiazione risulta schermata. Studi condotti dal Dipartimento della Difesa statunitense avrebbero dimostrato che l'equipaggio dei carri che ospitano l'intero munizionamento del carro sono esposti a una dose di radiazioni che non supera i livelli di sicurezza stabiliti per la popolazione.
Con l'uranio impoverito, di conseguenza, i pericoli non sono legati tanto alla radioattività quanto al fatto che come tutti i metalli pesanti, a partire dal piombo, è tossico e tende ad accumularsi nell'organismo (in particolare ossa e reni). Il pericolo di intossicazione ha origine dal fatto che al momento dell'impatto il penetratore di uranio impoverito letteralmente si polverizza bruciando, è quindi si ha dispersione nell'aria, e poi nel terreno e nell'acqua, di particelle che possono essere inalate, bevute, introdotte con gli alimenti. In pratica, è come usare un gas tossico i cui effetti, però, si manifestino con l'andare del tempo e non immediatamente come avviene con i gas nervini o altre armi chimiche.

Che cosa risulta finora

Per capire gli effetti sull'organismo del metallo è bene distinguere tra esposizione interna ed esterna. La pericolosità dell'esposizione esterna dipende dall'emissione di radiazioni: è vero che l'uranio impoverito e l'uranio naturale sono debolmente radioattivi, ma è anche vero che oggi si tende a credere che non esistano dosi di radiazioni innocue. Comunque, a oggi non risulta che l'esposizione esterna all'uranio impoverito causi direttamente tumori del sangue o tumori solidi. Vero è che secondo alcuni studiosi aumenta comunque il rischio di tumori.
Per l'esposizione interna, invece, il discorso cambia e anche la debole radioattività delle particelle del metallo diviene pericolosa: infatti queste si arrestano nei polmoni, se riescono a superare lo sbarramento delle prime vie aeree, e lì restano per parecchi anni esercitando il loro effetto distruttivo.
Nei polmoni, però, si fermano soltanto le particelle insolubili, mentre quelle che si sciolgono nei fluidi passano in circolo e vanno a esercitare una serie di effetti tossici in primo luogo a carico dei reni, come avviene per il piombo. Non è ancora chiarito se, come per il piombo, anche per l'uranio impoverito si possano avere effetti neurologici a livelli inferiori a quelli necessari perché si presenti la tossicità renale.
Secondo alcuni studi, condotti però con un occhio di riguardo all'establishment militare, il rischio della contaminazione ambientale è poco più che trascurabile, ma non esistono indagini serie e controllate al riguardo.
Altre fonti, vicine ai movimenti pacifisti, fanno invece presente che dopo la guerra del Golfo in Iraq la leucemia è balzata dal settimo al quarto posto per diffusione tra i tumori. Di certo almeno uno studio, condotto su reduci americani dal conflitto in Iraq dimostrerebbe conseguenze sul sistema nervoso, minore efficienza cognitiva, tra coloro che hanno subito l'esposizione interna, provata dai superiori livelli di uranio riscontrati nelle urine. Studi in vitro molto recenti, poi, hanno mostrato che l'uranio impoverito induce la mutazione degli osteoblasti umani (le cellule che costruiscono le ossa) nella variante cancerogena, anche se poi gli autori dicono che questo non significa necessariamente che lo stesso effetto si produca nell'organismo. Tutti indistintamente proclamano comunque che sono necessari altri studi. Intanto, senza sapere quali possano essere gli effetti, si continuano a usare i proiettili incriminati.

Maurizio Imperiali



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