Di radiazioni ne bastano poche

06 luglio 2005
Aggiornamenti e focus

Di radiazioni ne bastano poche



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Le radiazioni ionizzanti sono uno dei carcinogeni ambientali più studiati. A oggi la popolazione più studiata sono i sopravvissuti alle bomba atomiche sganciate sul Giappone al termine della II guerra mondiale, ma si tratta di un gruppo di riferimento esposto a dosaggi particolarmente alti. E gli altri? Già perché l'aspetto più rilevante sul piano sanitario è dato dalla gran massa di persone esposte a bassi dosaggi in modo ripetuto o frazionato. Si parla della normale esposizione ambientale ma anche delle persone sottoposte a esami diagnostici, per non parlare poi dei lavoratori esposti quotidianamente. Si va dai radiologi ai piloti, dal personale tecnico di supporto alla lavorazione dell'uranio o alla manutenzione delle centrali atomiche, a personale dell'esercito impiegato nella sperimentazione di armi atomiche, fino a minatori in aree in cui vi sono elevate concentrazioni di radon o altri elementi radioattivi. A questi lavoratori, in particolare a quelli dell'industria nucleare, è stato dedicato uno studio, pubblicato on line sul British Medical Journal, nel quale per 13 anni sono stati monitorati i lavoratori di 15 diversi paesi. In particolare è stato rilevato quale impatto abbia avuto l'esposizione sull'incidenza di tutti i tipi di tumore, escluse le forme leucemiche. I risultati sono stati poi messi a confronto con le stime condotte sui sopravvissuti a Hiroshima. Con esiti piuttosto preoccupanti.

Lo studio del Bmj


Le attuali linee guida per la protezione dall'azione radioattiva parlano di un limite occupazionale di 100 millisievert (mSv) in cinque anni e dosi per il "pubblico" che non superino 1 mSv all'anno. Lo studio è stato condotto su 407 mila impiegati nell'industria nucleare, soprattutto uomini, anche impiegati per un solo anno. La maggior parte di questi, il 90% per la precisione, è stata esposta a una dose cumulativa che non ha superato i 50 mSv e meno dell'1% ha superato i 500 mSv. I ricercatori hanno tenuto conto anche di altri aspetti influenti come l'età, la durata dell'impiego e lo status socioeconomico. I risultati sono abbastanza evidenti. Quasi 200 pazienti sono morti di leucemia e 6519 di altri tumori. Il che significa che una percentuale oscillante tra l'1 e il 2% delle morti per cancro tra i lavoratori considerati nello studio può essere attribuita all'esposizione alle radiazioni. Conformemente, osservano gli autori, alle stime del rischio previste dagli attuali standard preventivi. Lo studio conferma, perciò, che sono sufficienti esposizioni a bassi dosaggi per determinare un rischio. Anche se non mancherebbero gli aspetti positivi. Per cominciare i risultati sono sì più alti di quelli degli standard noti, ma di una cifra esigua. In più, aggiungono gli autori, riguarderebbero in particolare lavoratori attivi negli anni '40 e '50, quando i criteri di protezioneerano molto meno rigidi. Non solo, i risultati sembrerebbero rassicuranti per le persone residenti in prossimità di una centrale nucleare, esposti a dosaggi ben più bassi di quelli qui in discussione. Ciò non toglie, concludono, che la vigilanza non debba venir meno e che si debbano mantenere inalterati gli sforzi per proteggere i lavoratori esposti a questo genere di pericoli. E non sono pochi.

Marco Malagutti



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