27 giugno 2005
Aggiornamenti e focus
Sesso salvato da semi radioattivi
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L'elevata percentuale di effetti collaterali rende sempre difficile la decisione se intervenire o meno sui tumori della prostata localizzati. Da una parte, la sopravvivenza a 5 anni, in moltissime casistiche, è addirittura del 100%, dall'altra non è sempre detto che il tumore evolva in modo pericoloso e la terapia chirurgica, anche quella che dovrebbe risparmiare i nervi (in inglese, nerve sparing), qualche inconveniente lo provoca. Il più temuto degli effetti indesiderati dell'intervento è l'impotenza erettile, ed è chiaro che uomini ancora giovani non vivano certo serenamente questa possibilità.
Una ricerca giapponese propone ora un'alternativa al bisturi, per quanto rispettoso, cioè la brachiterapia. Quest'ultima è un'evoluzione della radioterapia nella quale però, anziché bombardare dall'esterno, si procede dall'interno.Il risultato si ottiene impiantando nella prostata delle capsule, chiamate semi, contenenti un isotopo radioattivo (palladio, iodio, iridio). I semi emettono le radiazioni entro un corto raggio. Pertanto, se piazzati a ridosso della lesione, cosa che si ottiene operando con l'ausilio dell'ecografia, possono rilasciare grandi quantità di radiazioni, basta aumentare il numero, ma solo sui tessuti cancerosi. L'intervento dura al massimo un'ora e mezzo. Ma è meno "fastidioso" della chirurgia? Sembra di sì. In pratica sono stati messi a confronto 89 pazienti sottoposti a brachiterapia e altri 93 avviati alla prostatectomia radicale. Entrambi i gruppi sono stati seguiti per un periodo da 6 a 64 mesi. Ai controlli, hanno dovuto rispondere a un questionario che valuta la qualità della vita (l'SF36); in prima battuta il risultato sembrava non variare in funzione della terapia. Però, se si passava a un questionario più specifico per la malattia, che considerava questioni come la funzione urinaria o l'attività sessuale, ecco che la brachiterapia riportava un vantaggio significativo.
Il vantaggio si manteneva anche paragonando il gruppo della brachiterapia con un altro campione sottoposto a prostatectomia unilaterale nerve sparing, intervento decisamente meno invasivo. L'unico punto in cui la chirurgia sembrava più favorevole erano i "problemi intestinali", significativamente meno frequenti.E' chiaro che quanto meno invasiva e disturbante è la cura, tanto più vale la pena di sottoporvisi, anche quando la situazione è incerta. Ciò non toglie che questo richiede al medico la capacità di spiegare al paziente quali sono le possibilità, e al paziente la capacità di stabilire che cosa gli sta più a cuore. E' anche possibile che qualcuno preferisca non avere problemi intestinali piuttosto che conservare la funzione erettile. Non ci sono decisioni buone per tutti....
Maurizio Imperiali
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Radiazioni solo dove serve
Una ricerca giapponese propone ora un'alternativa al bisturi, per quanto rispettoso, cioè la brachiterapia. Quest'ultima è un'evoluzione della radioterapia nella quale però, anziché bombardare dall'esterno, si procede dall'interno.Il risultato si ottiene impiantando nella prostata delle capsule, chiamate semi, contenenti un isotopo radioattivo (palladio, iodio, iridio). I semi emettono le radiazioni entro un corto raggio. Pertanto, se piazzati a ridosso della lesione, cosa che si ottiene operando con l'ausilio dell'ecografia, possono rilasciare grandi quantità di radiazioni, basta aumentare il numero, ma solo sui tessuti cancerosi. L'intervento dura al massimo un'ora e mezzo. Ma è meno "fastidioso" della chirurgia? Sembra di sì. In pratica sono stati messi a confronto 89 pazienti sottoposti a brachiterapia e altri 93 avviati alla prostatectomia radicale. Entrambi i gruppi sono stati seguiti per un periodo da 6 a 64 mesi. Ai controlli, hanno dovuto rispondere a un questionario che valuta la qualità della vita (l'SF36); in prima battuta il risultato sembrava non variare in funzione della terapia. Però, se si passava a un questionario più specifico per la malattia, che considerava questioni come la funzione urinaria o l'attività sessuale, ecco che la brachiterapia riportava un vantaggio significativo.
La scelta del paziente
Il vantaggio si manteneva anche paragonando il gruppo della brachiterapia con un altro campione sottoposto a prostatectomia unilaterale nerve sparing, intervento decisamente meno invasivo. L'unico punto in cui la chirurgia sembrava più favorevole erano i "problemi intestinali", significativamente meno frequenti.E' chiaro che quanto meno invasiva e disturbante è la cura, tanto più vale la pena di sottoporvisi, anche quando la situazione è incerta. Ciò non toglie che questo richiede al medico la capacità di spiegare al paziente quali sono le possibilità, e al paziente la capacità di stabilire che cosa gli sta più a cuore. E' anche possibile che qualcuno preferisca non avere problemi intestinali piuttosto che conservare la funzione erettile. Non ci sono decisioni buone per tutti....
Maurizio Imperiali
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