13 maggio 2005
Aggiornamenti e focus
In Europa si controlla così
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Sulla base delle linee guida emanate dall'Organizzazione Mondiale della Sanità nel 1999 e discostandosi un po' dalla settima revisione (JNC 7, Joint National Committee guidelines) di quelle statunitensi, pubblicate a maggio di quest'anno, anche l'Europa ha stilato un vademecum per l'ipertensione arteriosa.
Il testo, approvato da ESH (European Society of Hypertension) ed ESC (European Society of Cardiology) è stato ufficialmente presentato in occasione del XIII European Meeting on Hypertension, a metà giugno.
Le linee guida "locali" si propongono criteri meno rigidi, sia nella definizione di ipertensione sia nell'approccio farmacologico, sostenuti però da un approccio globale al paziente. Questo tipo di inquadramento è reso possibile dalla maggior omogeneità della popolazione europea, rispetto a quella americana, che è caratterizzata da un'elevata incidenza di patologie cardiovascolari e da una crescente longevità.
I punti cardine per iniziare un trattamento antipertensivo, non necessariamente farmacologico, sono:
Alcuni esempi pratici chiariranno meglio questo approccio globale. E si prendono per comodità i due casi estremi, il meno grave e il più grave, tenendo presente che per i valori intermedi si può avere un periodo di osservazione più o meno lungo, prima di partire col farmaco,sempre in funzione dei diversi fattori di rischio.
In presenza di pressione arteriosa normale ma alta (sistolica 130-139 mm Hg; diastolica 85-89 mm Hg) le raccomandazioni prevedono: valutazione di altri fattori di rischio come diabete, presenza di altre patologie, danno a un organo vitale (specie il rene); adozione di misure per correggere lo stile di vita e gli altri fattori di rischio e adeguata terapia delle patologie associate (quando presenti); infine stratificazione del rischio assoluto e
Diversamente dal JNC 7, quindi, l'Europa non sembra voler adottare la categoria della pre-ipertensione e nemmeno iniziare, troppo presto, terapie farmacologiche che devono poi continuare per 20-30 anni. Un'altra differenza, che farà sicuramente discutere, riguarda la scelta dei farmaci. Gli americani, infatti, rilanciano i vecchi diuretici come primo intervento, cui aggiungere in un secondo tempo un farmaco di un'altra classe, se necessario per raggiungere il controllo ottimale della pressione. Gli europei, invece, non esprimono preferenze particolari: il primo approccio farmacologico può avvenire con una qualsiasi delle classi di antipertensivi in commercio, ad esclusione degli antagonisti del recettore alfa-adrenergico, i vasodilatatori ad azione centrale. Secondo i risultati dello studio ALLHAT, infatti, l'impiego di questi farmaci da soli offre benefici minori di quelli ottenibili con altri tipi di molecole.
Meglio partire con un diuretico o un calcio-antagonista? Seguire le indicazioni americane o quelle europee? In realtà non fa molta differenza. È vero che lo studio ALLHAT ha rivalutato le proprietà dei diuretici che, utilizzati a dosi contenute, mostrano meno effetti collaterali che in passato. È vero anche che di studi sull'ipertensione ne sono stati fatti molti e tutti concordano su un punto: una diminuzione sostenuta nel tempo della pressione arteriosa riduce la probabilità di eventi cardiovascolari. Il più delle volte, poi, per ottenere un controllo efficace della pressione si devono associare due o più farmaci antipertensivi quindi, sostengono gli europei, non è rilevante da quale si comincia.
Importante, invece, non trascurare le caratteristiche peculiari di alcune categorie di pazienti: gli anziani, le donne incinte, i diabetici, i soggetti con particolari patologie concomitanti all'ipertensione. In questi casi, infatti, diventa quasi obbligata la scelta dell'antipertensivo e le linee guida europee lo ribadiscono evidenziando, per ogni classe, le situazioni in cui è fortemente consigliato l'uso di un certo tipo di farmaco.
Elisa Lucchesini
Salute oggi:
...e inoltre su Dica33:
Il testo, approvato da ESH (European Society of Hypertension) ed ESC (European Society of Cardiology) è stato ufficialmente presentato in occasione del XIII European Meeting on Hypertension, a metà giugno.
Le linee guida "locali" si propongono criteri meno rigidi, sia nella definizione di ipertensione sia nell'approccio farmacologico, sostenuti però da un approccio globale al paziente. Questo tipo di inquadramento è reso possibile dalla maggior omogeneità della popolazione europea, rispetto a quella americana, che è caratterizzata da un'elevata incidenza di patologie cardiovascolari e da una crescente longevità.
I punti cardine per iniziare un trattamento antipertensivo, non necessariamente farmacologico, sono:
- la valutazione del livello totale di rischio cardiovascolare del singolo paziente
- i valori di pressione arteriosa sistolica e diastolica del medesimo paziente
Alcuni esempi pratici chiariranno meglio questo approccio globale. E si prendono per comodità i due casi estremi, il meno grave e il più grave, tenendo presente che per i valori intermedi si può avere un periodo di osservazione più o meno lungo, prima di partire col farmaco,sempre in funzione dei diversi fattori di rischio.
In presenza di pressione arteriosa normale ma alta (sistolica 130-139 mm Hg; diastolica 85-89 mm Hg) le raccomandazioni prevedono: valutazione di altri fattori di rischio come diabete, presenza di altre patologie, danno a un organo vitale (specie il rene); adozione di misure per correggere lo stile di vita e gli altri fattori di rischio e adeguata terapia delle patologie associate (quando presenti); infine stratificazione del rischio assoluto e
- inizio di una terapia farmacologica se il rischio è alto o molto alto
- monitoraggio frequente della pressione se il rischio è moderato, senza somministrare farmaci
- nessun intervento se il rischio è basso
Diversamente dal JNC 7, quindi, l'Europa non sembra voler adottare la categoria della pre-ipertensione e nemmeno iniziare, troppo presto, terapie farmacologiche che devono poi continuare per 20-30 anni. Un'altra differenza, che farà sicuramente discutere, riguarda la scelta dei farmaci. Gli americani, infatti, rilanciano i vecchi diuretici come primo intervento, cui aggiungere in un secondo tempo un farmaco di un'altra classe, se necessario per raggiungere il controllo ottimale della pressione. Gli europei, invece, non esprimono preferenze particolari: il primo approccio farmacologico può avvenire con una qualsiasi delle classi di antipertensivi in commercio, ad esclusione degli antagonisti del recettore alfa-adrenergico, i vasodilatatori ad azione centrale. Secondo i risultati dello studio ALLHAT, infatti, l'impiego di questi farmaci da soli offre benefici minori di quelli ottenibili con altri tipi di molecole.
Meglio partire con un diuretico o un calcio-antagonista? Seguire le indicazioni americane o quelle europee? In realtà non fa molta differenza. È vero che lo studio ALLHAT ha rivalutato le proprietà dei diuretici che, utilizzati a dosi contenute, mostrano meno effetti collaterali che in passato. È vero anche che di studi sull'ipertensione ne sono stati fatti molti e tutti concordano su un punto: una diminuzione sostenuta nel tempo della pressione arteriosa riduce la probabilità di eventi cardiovascolari. Il più delle volte, poi, per ottenere un controllo efficace della pressione si devono associare due o più farmaci antipertensivi quindi, sostengono gli europei, non è rilevante da quale si comincia.
Importante, invece, non trascurare le caratteristiche peculiari di alcune categorie di pazienti: gli anziani, le donne incinte, i diabetici, i soggetti con particolari patologie concomitanti all'ipertensione. In questi casi, infatti, diventa quasi obbligata la scelta dell'antipertensivo e le linee guida europee lo ribadiscono evidenziando, per ogni classe, le situazioni in cui è fortemente consigliato l'uso di un certo tipo di farmaco.
Elisa Lucchesini
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