L'osso si sbriciola

13 dicembre 2001
Aggiornamenti e focus

L'osso si sbriciola



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Colpa dell'osteoporosi, una malattia che procede lenta e silenziosa fino a quando una frattura, per una caduta banale o per un semplice trauma, fa scoprire che l'osso si è indebolito.
L'osteoporosi è una patologia legata all'invecchiamento ma se ne distinguono due tipi: quella senile che colpisce uomini e donne, quella post-menopausale che è solo femminile. In entrambi i casi si verifica un progressivo prevalere dei processi di distruzione dell'osso (ad opera degli osteoclasti) rispetto ai processi di ricostruzione (mediati dagli osteoblasti). Il fisiologico turn over (rimodellamento) dello scheletro perde il suo equilibrio a mano a mano che l'organismo consuma le scorte di calcio accumulate in gioventù. Le ossa divengono porose e quindi più fragili, tanto che possono rompersi più facilmente. Di per sé l'osteoporosi non dà sintomi: il paziente non avverte dolori o segnali di allarme, perciò non è possibile diagnosticarla se non sottoponendosi ad esami specifici. Se la diagnosi è precoce attività fisica e cure farmacologiche possono arrestarne il decorso; più gravi e meno curabili sono invece i casi in cui la malattia viene scoperta già in stadio avanzato, ovvero quando si sia verificata una frattura.

Chi rischia davvero


Con l'incremento della durata della vita sono aumentati anche i casi di osteoporosi (e i costi socio-sanitari che ne derivano) tuttavia non tutti sono destinati ad ammalarsi, esistono alcuni fattori predisponenti.
Una attività fisica regolare e moderata è importante a qualsiasi età perché aiuta a mantenere un buon equilibrio, evitando così possibili cadute. La carenza di calcio e vitamina D sembra un paradosso, in un paese dove certo il cibo non manca, eppure è una realtà. La prevenzione deve iniziare, in questo caso, in giovane età: le ossa, infatti, raggiungono il picco di densità minerale intorno ai 30 anni, per poi mantenerlo costante o perderlo nel tempo. Tra le nazioni europee l'Italia è ancora una volta al primo posto, per il numero di anziani affetti da ipovitaminosi D (92%). Colpa di un'alimentazione carente e anche, in tarda età, della scarsa esposizione al sole durante i mesi più caldi. Problemi ampiamente evitabili con una corretta supplementazione nutrizionale.

La diagnosi


Non è necessario sottoporre tutti i pazienti anziani ad una mineralometria ossea: prima, infatti, ci sono molti indizi che, indagati correttamente, possono far sospettare, oppure no, la comparsa dell'osteoporosi.
Prima di tutto una corretta anamnesi del paziente, cioè la valutazione del suo stato di salute attraverso il colloquio con il medico. È importante stabilire la presenza di dolori alla schiena; lo stato fisico funzionale, ossia la capacità di continuare a svolgere le attività quotidiane nella propria abitazione; il mantenimento dei rapporti sociali e, quindi, della mobilità all'esterno dell'abitazione; ultimo, ma non trascurabile, la percezione che il soggetto ha del proprio stato di salute fisico e mentale.
Il passo successivo è quello di effettuare degli esami biochimici, molto semplici ed economici.

Esistono poi dei marker, dosabili nel siero, che indicano specificamente la presenza di attività di riassorbimento o neoformazione ossea. Tuttavia questi esami sono molto sofisticati, costosi e non necessari ai fini della diagnosi di osteoporosi.
Per la diagnosi definitiva si ricorre alla densitometria (o mineralometria) ossea computerizzata, un esame strumentale che misura la densità minerale ossea (BMD Bone Mineral Density). Per convenzione internazionale, si ha osteoporosi quando la BMD è inferiore di oltre 2.5 volte rispetto al valore medio di un giovane adulto (T score < -2.5 DS). L'esame riporta sempre la BMD e, quasi sempre, lo scostamento rispetto alla media dei soggetti della stessa età del paziente (Z score) o dei soggetti giovani (T score). In pratica per leggere una densitometria è sufficiente osservare il T score, se è inferiore a -2.5 (-3 per gli uomini) siamo in presenza di osteoporosi, se è tra -1 e -2.5 si parla semplicemente di osteopenia. Le tecniche utilizzate possono essere diverse.

A raggi X

Questa è la metodica di riferimento secondo le linee guida dell'Organizzazione Mondiale della Sanità, si basa sull'impiego di un fascio di raggi gamma o X che, attraversando un segmento osseo (per esempio il polso) subiscono un'attenuazione proporzionale alla densità dell'osso stesso. La densitometria ossea a singolo raggio X (SXA, single x-ray absorptiometry) permette di misurare esclusivamente segmenti ossei degli arti, circondati da scarso tessuto molle, viene applicata in particolare alla porzione distale dell'avambraccio e al calcagno. La metodica a doppio raggio (DXA, dual-energy x-ray absorptiometry) permette di misurare anche altri siti, specificamente interessati dalle fratture osteoporotiche, come le vertebre lombari e la porzione prossimale del femore, oltre che l'intero scheletro.

A ultrasuoni

Da pochi anni sono stati introdotti metodi quantitativi di valutazione dell'osso basati sull'uso di ultrasuoni (Quantitative UltraSound, QUS), che impiegano onde acustiche ad alta frequenza.
Le ultrasonometrie ossee sono in grado di integrare il risultato della densità ossea con dati riferibili alle qualità meccaniche (robustezza), agli aspetti micro-strutturali tridimensionali e/o qualitativi dell'osso. Gli apparecchi misurano, al calcagno o alle falangi delle mani, la velocità di propagazione o l'attenuazione di frequenza degli ultrasuoni, o altre caratteristiche della traccia ultrasonografica. Il loro interesse risiede soprattutto nel fatto che non vengono impiegate radiazioni ionizzanti e nel basso costo, tuttavia questi strumenti sono ancora poco diffusi.

Mediante tomografia computerizzata (TAC)

La tomografia computerizzata può essere impiegata in maniera quantitativa (Quantitative Computerized Tomography, QCT) per la misurazione della densità ossea della porzione centrale delle vertebre lombari. Il principale vantaggio è costituito dall'evitare l'interferenza dei processi artrosici, che possono causare una significativa sovrastima della densità ossea vertebrale misurata con metodo DXA. Le principali limitazioni derivano dalla dose nettamente più elevata di radiazioni cui è sottoposto il paziente e dalla minore precisione ed accuratezza. Anche i costi sono nettamente più elevati. Per tutti questi motivi la QCT del rachide trova indicazione nella diagnostica clinica solo in casi molto selezionati, in Italia la sua applicazione è molto limitata.

Le cure

Delle molte terapie farmacologiche oggi disponibili nessuna è in grado di contrastare completamente l'osteoporosi, perciò prevenire resta comunque essenziale. La prevenzione deve iniziare, in questo caso, in giovane età: le ossa, infatti, raggiungono il picco di densità minerale intorno ai 30 anni, per poi mantenerlo costante ed, eventualmente, perderlo nel tempo. Alimentazione sana ed equilibrata, con un corretto apporto di calcio, e una giusta attività fisica sono la base per creare un "patrimonio" osseo a prova d'invecchiamento.
I farmaci in grado di rallentare l'impoverimento del tessuto osseo si possono virtualmente dividere in due categorie: quelli indicati in entrambi i sessi e quelli utilizzabili solo dalle donne.
Tra i primi spiccano sicuramente i bifosfonati, di provata efficacia nel ridurre l'osteolisi e il numero di fratture; tuttavia rimane valida anche l'associazione di integratori di calcio e vitamina D, necessaria per favorire assorbimento e utilizzo del minerale.
Tra i secondi, invece, rientrano: terapia ormonale sostitutiva (HRT), associazione estro-progestinica utile per alleviare i sintomi della menopausa e raloxifene, modulatore selettivo dei recettori estrogenici. Quest'ultimo mantiene gli effetti estrogeno-simili della HRT a livello del metabolismo osseo e di quello lipoproteico, mentre non agisce sul tessuto mammario e su quello uterino.

Elisa Lucchesini

Fonti

I Update "L'osteoporosi e le sue implicazioni sociali" organizzato da Procter and Gamble Divisione Farmaceutica, Milano 2 dicembre 2002

van der Wielen RP et al. Serum vitamin D concentrations among elderly people in Europe. Lancet 1995 Jul 22;346(8969):207-10



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