Com'è grande la città

20 giugno 2008
Aggiornamenti e focus

Com'è grande la città



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Com'è grande la città, dice una canzone di Giorgio Gaber, e come diventerà ancora più grande, ribatte un rapporto delle Nazioni Unite. Infatti, già l'anno prossimo il numero delle persone che vivono negli agglomerate urbani supererà la metà della popolazione mondiale, e la crescita sembra inarrestabile, tanto che entro il 2030 gli abitanti delle città saranno circa 5 miliardi, vale a dire il 60% del totale. Un dato che desta di per sé qualche preoccupazione, visto che sistemi e infrastrutture sono speso sull'orlo del collasso nella attuali megalopoli, ma che diviene ancor più serio se si considera che la maggiore urbanizzazione riguarderà soprattutto i paesi più poveri e le fasce più povere della popolazione. Sempre di qui al 2030, la popolazione urbana dell'Asia passerà da 1,4 a 2,2 miliardi, quella dell'Africa da 300 a 740 milioni e, infine, nell'America Latina e nei Caraibi si passerà da 400 a 600 milioni. Questo significa dover ripensare anche le strategie di igiene pubblica e di tutela della salute. Infatti nelle città si realizza una sistematica concentrazione dei gruppi di colazione in condizioni disagiate, quindi con problemi di malnutrizione, magari non sottoposta alle vaccinazioni in uso e, soprattutto, in condizioni igieniche precarie. Non è una novità assoluta nella storia dell'umanità: già agli inizi dell'epoca industriale, nella Gran Bretagna dei primi decenni dell'Ottocento, si erano create situazioni di questo tipo, sia pure su scala differente, e tra le conseguenze vi furono anche importanti epidemie, come quella di colera che che interessò Londra nel 1854. E anche oggi, infatti, il pericolo principale indicato dalla Nazioni Unite sono le malattie infettive. D'altra parte è evidente che se le città possono costituire dei veri ghetti della povertà, offrono anche un ottima occasione per uscirne: le occasioni di lavoro sono maggiori, c'è una maggiore circolazione di denaro eccetera.

Regolare lo sviluppo


Il vero pericolo, domani come nella Londra del 1850, è la crescita incontrollata, l'urbanizzazione a colpi di baraccopoli. In queste situazioni, infatti, agire a posteriori, cioè una volta che la popolazione si è insediata, è difficilissimo: allestire una fognatura, assicurare la fornitura dell'acqua potabile, possono diventare imprese disperate. Scongiurare questo esito, dice Thoraya Ahmed Obaid, direttore esecutivo del Population Fund delle Nazioni Unite, richiede "che si abbandoni l'atteggiamento di resistenza all'urbanizzazione e semmai organizzarsi per aiutare le città a esprimere tutto il loro potenziale". Dal punto di vista più strettamente sanitario, questo significa anche agire sulla leva demografica: avviando campagne di pianificazione famigliare, promuovendo la contraccezione, perché le cose vanno di pari passo, promuovendo la condizione della popolazione femminile, in termini di istruzione e accesso al lavoro.
Anche se non è stato posto al centro del rapporto, però, va considerato anche l'aspetto ambientale: popolazioni numerose concentrate in aree relativamente ristrette finiscono per favorire l'innalzamento degli inquinanti: a causa del trasporto, è chiaro, ma anche di attività come cucinare e riscaldarsi. Non opporsi all'urbanizzazione, dicono le Nazioni Unite, ma certamente il modello di sviluppo delle città deve cambiare significativamente.

Maurizio Imperiali



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