Rischi senza soglia

20 giugno 2008
Aggiornamenti e focus

Rischi senza soglia



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Gli effetti dannosi del particolato sulla salute, non possono più essere messi in dubbio e sono corposi ormai i dati epidemiologici che indicano come una certa esposizione a queste particelle residue di combustione si leghi addirittura a maggiore mortalità. In quel "certa" sta però il nodo del dibattito, scientifico prima e politico-sanitario poi. Il problema delle soglie di rischio esiste, rispetto alle dimensioni delle famigerate PM e all'entità e alla durata dell'esposizione, non si sono infatti ben definite le curve concentrazione-risposta che significa anche stabilire i tempi di latenza perché si verifichino gli effetti. Sono incertezze alle quali si appellano, a volte strumentalmente, le istituzioni quando devono decidere misure quali la riduzione del traffico veicolare: per questo l'Agenzia di protezione ambientale (EPA) statunitense ha di recente rifiutato di abbassare ulteriormente il limite medio annuale di 15 microgrammi di particolato/metro cubo, stabilito in base agli studi, sostenendo che sotto questo valore non ci sono evidenze convincenti di effetti sulla mortalità. Ora irrompe però una evidenza diversa, da una nuova analisi dell'Harvard Six Cities Study che era stato una pietra miliare in materia: non ci sarebbe una soglia di rischio ma una continuità, conseguenze ci sono anche al di sotto dei 15 mcg/m3 e i cambiamenti di esposizione producono effetti sulla mortalità entro i due anni.

Rapporto tra sopravvivenza e PM2,5


La nuova ricerca è arrivata a queste inquietanti conclusioni ricorrendo a un'elaborazione statistica sofisticata, con due approcci (una funzione di regressione e un modello Bayesiano) che hanno permesso di superare incertezze di studi precedenti; si è partiti dallo studio di Harvard che ha seguito per una quindicina d'anni tra i Settanta e gli Ottanta un campione di abitanti adulti di sette città di altrettanti stati, per stabilire gli effetti dell'inquinamento atmosferico sulla sopravvivenza: si era così accertato un tasso di mortalità di 1,13 per un incremento di 10 mcg/m3 della concentrazione di PM2,5. Come premesso, diverse ricerche epidemiologiche hanno indicato tra il 1997 e il 2000 un legame tra esposizione al particolato e mortalità precoce e la maggior parte ha associato cambiamenti di concentrazione a breve termine con cambiamenti di mortalità sempre a breve termine; due indagini di coorte negli Stati Uniti e in Europa avevano mostrato, dopo aggiustamento per i fattori di rischio standard, sopravvivenze più brevi in città più inquinate. Ricerche più recenti hanno individuato potenziali meccanismi di quest'accorciamento di sopravvivenza, come variazioni nel sistema autonomo che aumentano forse il rischio di aritmie, effetti infiammatori e trombotici che potrebbero favorire infarti, miocarditi, esacerbazioni di malattie respiratorie. E nel 2006 un'estensione del follow-up dell'Harvard study al 1998 ha confermato il persistere dell'associazione già evidenziata.

Conseguenze già entro due anni


Gli autori della nuova ricerca sono dunque partiti dai dati dello studio Harvard, ma considerando le variazioni annuali di PM2,5 come variante tempo-dipendente, e hanno esaminato la relazione tra esposizione e rischio di mortalità. L'obiettivo in pratica era stabilire se quelli osservati in precedenza erano effetti dell'esposizione insorti nel corso della vita oppure dell'esposizione in anni recenti. E appurare se esistesse un rischio anche al di sotto del limite accettato dall'EPA dei 15 mcg/m3. Per il PM2,5 c'era una linearità concentrazione-risposta, che si evidenziava chiaramente anche al di sotto dei 15 mcg/m3, inoltre gli effetti sulla mortalità erano visibili già entro i due anni dall'esposizione. L'apparente assenza di una soglia di rischio ha ovvie implicazioni, suggerisce che quelle stabilite siano arbitrarie e che limitarsi alla riduzione dei giorni d'inquinamento elevato nelle città non sia sufficiente: un fatto sul quale si dovrebbe riflettere anche in Italia, dove si peraltro si parla ancora di PM10 e si tende a sforare la soglia UE di 35 giorni inquinati all'anno consentiti con 40 mcg/m3 di particolato da ridurre a 20 entro il 2010 (a Milano è successo in questi giorni, con valori anche sopra 100). Rilevante poi l'osservazione dell'effetto entro due anni soltanto, che aggrava le colpe del particolato e, volendo vedere il mezzo bicchiere pieno invece che vuoto, dimostra come una riduzione dell'inquinamento atmosferico potrebbe produrre benefici quasi immediati.

Elettra Vecchia



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