Covid-19, Corbellini: l'informazione scientifica vince sul virus
Relazione tra sviluppo del metodo scientifico e libertà
In questa pandemia che ci ha rinchiuso in casa (o, i professionisti sanitari, in ospedale), in molte persone è invalsa l'idea secondo cui la libertà è un lusso sacrificabile di fronte alla minaccia mortale del virus. Questa però probabilmente non è una posizione saggia. Infatti, in Occidente, proprio alla libertà dobbiamo gli strumenti scientifici e le istituzioni formative che ci hanno portato a maturare le conoscenze per affrontare minacce come quelle del Covid-19. Lo spiega Gilberto Corbellini, ordinario di Storia della Medicina e docente di Bioetica all'Università di Roma, autore con Alberto Mingardi del libro "La società chiusa in casa la libertà dei moderni dopo la pandemia".
«A dispetto di quanto poco traspaia dai libri di storia c'è una profonda relazione tra sviluppo del metodo scientifico e libertà», dice Corbellini. «I principali filosofi della libertà del '600 e '700 o erano scienziati o conoscevano la scienza e vi cercavano suggerimenti su come organizzare la società e promuovere le libertà individuali. Penso che la caratteristica del metodo scientifico sia quella di consentirci di mettere sotto controllo le nostre inclinazioni a voler manipolare gli altri, a raccontare cose non vere e a strumentalizzare situazioni allo scopo di promuovere noi stessi. Con il metodo scientifico gli scienziati vanno alla ricerca di situazioni e ne parlano ma, a differenza di altre attività umane, quando le comunicano sono controllabili. Se un altro scienziato prova a confutarli lo fa nel rispetto di un'etica di fondo ad impegnarsi per far venire fuori la verità. Da ciò derivano risultati straordinari che hanno stravolto le condizioni della nostra specie sul pianeta». Corbellini afferma che la pandemia è darwiniana e non hegeliana. Che significa? «L'approccio darwiniano è induttivo-scientifico. A dispetto di chi dice di chiudere, dobbiamo prendere atto che questo virus è endemico, è nella sua natura espandersi, replicarsi, mutare. Fa parte del processo evolutivo che esso esprima varianti che sempre più gli consentono di esplorare i suoi ospiti. Di fronte a sé trova le pressioni selettive del nostro sistema immunitario rinforzate dai farmaci. Siamo di fronte ad uno scenario imprevedibile, dove possiamo solo ribattere colpo su colpo nella speranza si trasformi in uno dei tanti coronavirus all'origine del raffreddore come già avvenne per una pandemia nel 1889. I vaccini sono l'unico strumento a nostra disposizione in questo momento per costringere il virus ad evolvere in direzioni che lo rendono meno aggressivo. Il fatto che da 2 anni non siano emerse varianti foriere di malattie più gravi e mortali può voler dire che mutazioni "in peggio" fin qui non sono utili all'interesse che ha il virus di moltiplicarsi negli individui umani».
Per incoraggiare comportamenti corretti in una fase in cui l'emergenza è entrata nelle nostre vite, «si deve evitare da una parte che la gente si assuefaccia e non si tuteli più e dall'altra che reagisca in modo eccessivo al pericolo». Due anni fa, prima della pandemia, un altro libro di Corbellini, "Nel paese della pseudoscienza", fotografava un fenomeno che minaccia la nostra società e mette alla prova le basi cognitive del tessuto politico della democrazia. «Sono un po' meno pessimista» dice Corbellini. «È vero però, come sostenevo allora, che per portare la gente a comportamenti efficaci la fiducia nelle istituzioni e nei medici conta più dei social. La poco utilizzata comunicazione tra medico e paziente potrebbe e può recuperare gli esitanti verso i vaccini. Che in questi tempi si sia riusciti ad arrivare ad un 90% di copertura, significa che i no-vax sono una minoranza cui però i mezzi d'informazione danno più spazio, colpevolmente. Pagando le tasse, dovremmo aspettarci che l'informazione fosse più rispettosa dei comportamenti che tutti adottiamo. Poco si può fare per convincere i pochi che davvero credono alla pseudoscienza: o sono ignoranti o hanno investimenti ideologici alle spalle. L'incertezza dei veri esitanti invece si combatte, ma non tanto con la razionalità, o spiegando come il vaccino tenga lontani dalle terapie intensive, bensì parlando, dedicando del tempo, trasmettendo la fiducia necessaria per recarsi alla seduta vaccinale».
Il garante della comunicazione Agcom nel Report "Comunicazione e social media" individua politica e salute come le due categorie dove c'è più disinformazione. Colpa dei social? «I social sono uno strumento molto utile per chi sa cosa vuole e quali informazioni trovare, ma per chi va con l'idea di vedersi confermare le proprie idee, con un intento socialmente "negativo", sono pericolosi, e chi fa disinformazione si precipita su queste "bolle" creando confusione. Penso occorra lavorare sulle scuole. Se vogliamo che le nostre risorse cognitive siano bene usate dai nostri ragazzi, dobbiamo dare loro strumenti per affrontare l'incertezza dell'informazione e saper distinguere una notizia credibile da un "fake". Il gruppo Cochrane sta facendo attività in giro per il mondo, in particolare in Uganda, insegnando in sostanza come si fa a prendere decisioni in condizioni d'incertezza. Con risultati incoraggianti». È però anche vero che il giovane guarda con disincanto al mondo degli adulti (spesso "irrecuperabili" nelle loro idee): «Con i più giovani riesco a parlare bene di temi attualità, ci capiamo, ma l'impressione è talora di avere di fronte interlocutori che danno un po' per scontate nozioni che invece in me accendevano lo spirito della ricerca».
Fonte: Sanità33
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