Bpco: tosse e catarro, i segnali di allarme
La broncopneumopatia cronica ostruttiva (Bpco) è oggi la quarta causa, ma destinata a salire in terza posizione entro il 2030, di mortalità, morbilità e invalidità. I pazienti, infatti, tendono a perdere progressivamente la capacità di svolgere le normali funzioni quotidiane e anche camminare diventa difficile e faticoso per mancanza di respiro. Diventano così sempre più sedentari e avranno bisogno di ossigenoterapia, ventilazione forzata fino al ricovero. Per non arrivare a questo si può fare prevenzione, come spiega a Dica33, Stefano Centanni, ordinario di malattie rspiratorie dell'Università degli studi di Milano e presidente della SIMe.R. (Società italiana di medicina respiratoria)
Come si fa a prevenire questa malattia?
Non iniziando mai a fumare. Che, per altro, è anche l'investimento più grande che si possa fare per proteggere la propria salute. Il fumo di sigaretta è la fonte principale di rischio per la broncopneumopatia cronica ostruttiva. Lo è parzialmente l'esposizione professionale a sostanze pericolose o irritanti per le vie respiratorie. L'inquinamento atmosferico è, invece, chiamato in causa più come responsabile delle riacutizzazioni. Tuttavia c'è una predisposizione individuale che spiega perché tutti i fumatori non hanno la Bpco, si tratta di risposte individuali diverse a un fattore di rischio riconosciuto.
Quindi i fumatori sono i soggetti più a rischio di Bpco?
Sì, sicuramente. Ma c'è poca consapevolezza di questo rischio, poiché, si tratta di una patologia lenta e che ha bisogno di tempo per svilupparsi e instaurarsi ed è nella popolazione anziana che si manifesta di più e nelle forme più avanzate, in cui viene a mancare il respiro, anche quando si compiono azioni poco impegnative dal punto di vista fisico. Ma i segni iniziali si possono già ritrovare nei soggetti giovani, tipicamente fumatori di circa 40 anni, che raramente segnalano al proprio medico problemi respiratori, consapevoli che il primo consiglio che riceveranno sarà quello di smettere di fumare.
Quali sono i segni a cui prestare attenzione?
Innanzitutto, le persone dovrebbero iniziare a capire che tosse e catarro non sono normali, ma sono sintomi di qualche problema respiratorio, che può andare da una tracheite fino alla tubercolosi. Se, poi, persistono per almeno tre mesi l'anno e per almeno due anni consecutivi bisogna iniziare ad allarmarsi, soprattutto se c'è abitudine al fumo, perché gradualmente, nel tempo, si potrebbero aggravare. I soggetti più giovani tendono a non prestare attenzione a questi segni, ma si allarmano solo quando inizia a comparire dispnea, cioè la mancanza di respiro, per esempio, dopo aver fatto una rampa di scale. Ma a questo punto la malattia non è più in fase iniziale, ma è in una fase già più avanzata.
Quali sono gli esami a cui sottoporsi?
La diagnosi di Bpco si fa basandosi sulla storia del paziente e sulla spirometria, un esame molto semplice e non invasivo, ma molto poco usato. Per eseguirlo, bisogna semplicemente soffiare in un tubo collegato a un dispositivo che misura la funzione ventilatoria, che non è altro che la nostra capacità respiratoria. Questo esame permette di capire se c'è un deficit respiratorio. Il momento della diagnosi è molto importante per intervenire precocemente, in quanto la terapia può solo rallentare la progressione ma non recuperare il deficit.
Quindi non si guarisce dalla Bpco?
È una malattia che si può gestire, ma non guarire. Con una terapia con farmaci broncodilatatori inalatori topici o, in alcuni casi, con corticosterodii inalatori, e, ovviamente, smettendo di fumare, si può rallentare la progressione della patologia. Ma è fondamentale iniziare la cura quando il deficit respiratorio è ancora contenuto, perché se, per esempio, il paziente ha già perso il 40% della sua capacità respiratoria, non potrà più recuperarlo, nonostante le cure. Gli studi clinici hanno, infatti, dimostrato che in pazienti curati in modo adeguato per 3-4 anni, la patologia è rimasta allo stadio in cui si trovava all'inizio della cura, ed è per questo motivo che è importante intercettare pazienti giovani in cui la malattia è ancora in fase iniziale.
Simona Zazzetta
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