Infezioni sessuali: quadro italiano nella popolazione femminile

18 ottobre 2011
Aggiornamenti e focus

Infezioni sessuali: quadro italiano nella popolazione femminile



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Cronicizzazione, sterilità, trasformazione cancerosa e interazione con l'Hiv sono le più gravi sequele in caso di mancata diagnosi o errata terapia delle malattie a trasmissione sessuale (Mst) nella popolazione femminile. Lo ha ricordato a Palermo, durante l'87° Congresso Sigo, Barbara Suligoi del Centro operativo Aids dell'Istituto Superiore di Sanità, fornendo un quadro dei trend infettivi stilato da due attività di sorveglianza svolte in Italia. Entrambe sono state coordinate dal Centro operativo Aids: una basata su 12 centri clinici pubblici, attiva dal 1991, e una più recente, istituita nel 2009, costituita da 13 laboratori di microbiologia. «Dal 1991 al 2008, al primo sistema di sorveglianza sono stati segnalati 22.953 nuovi casi di Mst tra le donne, con età mediana di 30 anni. Le diagnosi più frequenti sono state quelle di infezioni non gonococciche non clamidiali (38,4%), condilomi acuminati anogenitali (30%), cervicite da Chlamydia trachomatis (6,1%) ed Herpes genitalis (6,1%). I casi di infezioni non gonococciche non clamidiali sono rimasti stabili fino al 2004, con un successivo incremento. Quelli dovuti a Herpes genitalis sono rimasti stabili dal 1991. I casi di cervicite da clamidia, di sifilide primaria e secondaria e di gonorrea sono rimasti stabili fino al 2000, per poi aumentare. Il 64,7% della popolazione in studio è stato inoltre sottoposto al test anti-Hiv, con esito positivo nel 4,7% dei casi». Dai laboratori di microbiologia - che tra il 2009 e il 2011 hanno analizzato principalmente campioni per sospetta infezione da Chlamydia trachomatis, Trichomonas vaginalis o Neisseria gonorrhoeae, è emerso come la prevalenza della clamidia fosse più elevata nelle donne con due o più partner nei 6 mesi precedenti rispetto a quelle con uno o nessun partner (13,4% vs 1,8%), nelle donne di età <25 anni rispetto a quelle con età superiore (6,8% vs 1,6%) e nelle pazienti con sintomi genito-urinari al momento del prelievo del campione rispetto a quelle asintomatiche (2,9% vs 1,8%). In particolare, tra le donne positive alla clamidia circa il 40% non aveva sintomi.



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