Angina: diagnosi e cura del mal di cuore
Una volta si chiamava angina pectoris o, più volgarmente mal di cuore, a segnalare una sofferenza dolorosa ma non grave del muscolo cardiaco. Oggi sono cambiati i termini ma non la storia della malattia, che rimane cronica. Come spiega Massimo Uguccioni direttore del dipartimento di Cardiologia dell'ospedale Cto A. Alesini di Roma e vicepresidente delle Attività culturali dell'Associazione nazionale medici cardiologi ospedalieri (Anmco), che per l'associazione sta coordinando una serie di iniziative di formazione, in 100 ospedali italiani, per riportare l'attenzione sulla diagnosi e le cure adeguate per questa patologia.
L'angina è una malattia o solo un sintomo?
Entrambe le cose, se si vuole essere precisi. Il termine angina, genericamente, significa dolore, non necessariamente cardiaco. Per quanto riguarda la cardiologia, invece, l'angina rientra nella grande famiglia della malattia coronarica. Si distinguono poi una forma cronica, angina pectoris o angina stabile, dalle manifestazioni acute (angina instabile) che insieme all'infarto rientrano nel quadro della sindrome coronarica acuta. Quindi l'angina stabile è una malattia a sé che colpisce le coronarie (le arterie del cuore)
È una patologia diffusa?
Più di quanto si tenda a ricordare. In effetti l'angina stabile riguarda il 2-3% della popolazione adulta. Inoltre, secondo recenti statistiche italiane, la malattia si concentra maggiormente nelle fasce d'età più avanzate: 65-74 anni e 75-84 anni.
Come si diagnostica?
La sofferenza coronarica e il conseguente dolore al petto che l'accompagna compaiono in genere sotto sforzo, cioè in seguito ad attività fisica, anche moderata (uno-due piani di scale a piedi). Per la diagnosi quindi si ricorre a test di provocazione perché, in genere, un primo elettrocardiogramma (Ecg) eseguito in condizioni di riposo risulta normale mentre, eseguendo la prova sotto sforzo, il tracciato Ecg evidenzia delle modificazioni.
Un dolore al petto può avere anche altri significati?
Certo il dolore al torace di per sé è un sintomo aspecifico ma il medico, anche quello di famiglia, sa bene come interpretarlo. Nella maggioranza dei casi, prima dei 40 anni i dolori toracici sono quasi esclusivamente di origine reumatica o muscolare. L'angina può assomigliare anche al dolore retrosternale del reflusso gastroesofageo, che però non compare sotto sforzo. Insomma diciamo che, dopo una certa età, il primo consulto è sempre quello con il cardiologo, se poi i test non rilevano alterazioni cardiache, allora si cerca la diagnosi in altre direzioni.
La cardiologia interventistica ha cambiato la cura dell'angina?
La possibilità di correggere il restringimento (stenosi) delle coronarie, tramite angioplastica o impianto di stent potrebbe, in linea teorica, risolvere il quadro anginoso. Nella realtà dei fatti però si è visto che non è così. Queste procedure si sono dimostrate estremamente efficaci nelle sindromi coronariche acute, specie nell'infarto, mentre nell'angina cronica la loro applicazione non è sempre adeguata.
Questo perché l'intervento non ha successo?
No, ma esistono piccole percentuali in cui la malattia è molto diffusa e la rivascolarizzazione risulta incompleta (angina residua), oppure l'intervento ha successo però in seguito la malattia procede ulteriormente, e ancora ci sono i casi di restenosi dello stent. Le condizioni specifiche di ogni paziente poi possono compromettere, in parte, i benefici attesi. Nel complesso un 20-30% di pazienti sottoposti a procedure di cardiologia interventistica non risolve completamente la sintomatologia anginosa.
Quindi come si può curare l'angina stabile?
Con un'adeguata terapia di fondo, innanzitutto, cioè i farmaci antiaggreganti, gli ipocolesterolemizzanti e se necessario gli antipertensivi, per trattare i fattori di rischioe prevenire la progressione dell'aterosclerosi. Poi ci sono farmaci storici per controllare i sintomi anginosi: i nitrati (per bocca o in cerotti), i beta-bloccanti e i calcio-antagonisti. Infine due molecole più nuove, ivabradina e ranolazina, che si assumono per via orale e sono meglio tollerate, fatto rilevante visto che la terapia è a lungo termine.
Differenze tra uomini e donne nell'incidenza della malattia?
Nell'incidenza direi di no, semmai nell'età di comparsa: dai 60 in media per l'uomo, dopo i 75 nella donna. Differenze rilevanti invece ci sono nell'accesso alla diagnosi e, quindi, alle cure. In questi due passaggi le donne sono svantaggiate perché: il quadro si presenta con sintomi meno specifici; il test da sforzo è stato disegnato sull'uomo perciò i risultati positivi sono predittivi più nell'uomo che nella donna; siccome è meno frequente prima dei 70 anni viene presa meno in considerazione al momento della diagnosi; a volte viene trattata in maniera meno efficace.
Elisabetta Lucchesini
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