01 dicembre 2014
Interviste
La lotta alla violenza sulle donne va fatta dentro e fuori dall’ospedale
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Il 25 novembre si è celebrata la Giornata mondiale contro la violenza sulle donne e la prossima settimana sarà ancora una volta al centro di un'iniziativa importante in difesa della donna, con cui l'Osservatorio nazionale sulla salute della donna (Onda) premierà con il "bollino rosa" i cinque ospedali italiani più attivi ed efficaci nella difesa della donna anche dalla violenza: anche se non ama la colorazione "rosa", la ginecologa Alessandra Kustermann, che dirige il Pronto soccorso ostetrico-ginecologico dell'Ospedale maggiore policlinico di Milano e il Centro soccorso violenza sessuale e domestica, è da sempre in prima linea nella lotta alla violenza sulle donne.
Secondo una recente indagine europea condotta su un campione di 42mila donne (1.500 per paese) circa una donna su tre in Europa ha subitoviolenza fisica e/o sessualedall'età di 15 anni, nella maggior parte dei casi (due su tre) da parte del partner, che viene denunciato alle autorità o alle associazioni di tutela solo in un terzo dei casi. L'esperienza dello stupro vero e proprio riguarda una donna su venti, il 5 per cento della popolazione.
Le iniziative come il "bollino rosa" che premia le migliori esperienze e il "codice rosa" che garantisce un'attenzione particolare alle donne vittime di violenza in Pronto Soccorso, segnalano un impegno significativo.
«Io non amo l'associazione al colore rosa, ma sono fermamente convinta che occorra istituire in tutti i Pronto soccorso un percorso dedicato all'assistenza alle donne vittime di violenza sessuale e domestica. Occorre più formazione per tutti gli operatori sanitari, dai medici e infermieri ospedalieri ai medici di medicina generale, che devono imparare a riconoscere il fenomeno e a dare le risposte adeguate».
Questo servirà per mostrare con chiarezza quanti casi denunciati come incidente domestico sono in realtà atti di violenza?
«Certo, ma occorre anche comprendere che l'intervento medico può limitare i danni ma non potrà mai contrastare efficacemente il fenomeno e cambiare le cose da solo, senza un intervento multidisciplinare, con aiuti su vari livelli. Per questo dopo il percorso dedicato occorre fare riferimento ai centri antiviolenza, presenti in molte città in varie forme, promossi anche da associazioni come la Caritas, per l'attuazione di tutto ciò che può garantire alla donna che le violenze non si ripetano. Secondo i casi può essere necessario ospitare la donna in una struttura protetta, fornirle assistenza psicologica e legale, e aiutarla a riflettere con calma per decidere se procedere con una denuncia».
Secondo una recente indagine europea condotta su un campione di 42mila donne (1.500 per paese) circa una donna su tre in Europa ha subitoviolenza fisica e/o sessualedall'età di 15 anni, nella maggior parte dei casi (due su tre) da parte del partner, che viene denunciato alle autorità o alle associazioni di tutela solo in un terzo dei casi. L'esperienza dello stupro vero e proprio riguarda una donna su venti, il 5 per cento della popolazione.
Le iniziative come il "bollino rosa" che premia le migliori esperienze e il "codice rosa" che garantisce un'attenzione particolare alle donne vittime di violenza in Pronto Soccorso, segnalano un impegno significativo.
«Io non amo l'associazione al colore rosa, ma sono fermamente convinta che occorra istituire in tutti i Pronto soccorso un percorso dedicato all'assistenza alle donne vittime di violenza sessuale e domestica. Occorre più formazione per tutti gli operatori sanitari, dai medici e infermieri ospedalieri ai medici di medicina generale, che devono imparare a riconoscere il fenomeno e a dare le risposte adeguate».
Questo servirà per mostrare con chiarezza quanti casi denunciati come incidente domestico sono in realtà atti di violenza?
«Certo, ma occorre anche comprendere che l'intervento medico può limitare i danni ma non potrà mai contrastare efficacemente il fenomeno e cambiare le cose da solo, senza un intervento multidisciplinare, con aiuti su vari livelli. Per questo dopo il percorso dedicato occorre fare riferimento ai centri antiviolenza, presenti in molte città in varie forme, promossi anche da associazioni come la Caritas, per l'attuazione di tutto ciò che può garantire alla donna che le violenze non si ripetano. Secondo i casi può essere necessario ospitare la donna in una struttura protetta, fornirle assistenza psicologica e legale, e aiutarla a riflettere con calma per decidere se procedere con una denuncia».
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