08 aprile 2015
Aggiornamenti e focus
Più esercizio per prevenire i danni legati alle cadute nelle donne anziane
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Cadere e procurarsi una frattura. Un evento piuttosto comune nelle signore anziane alle quali spesso vengono raccomandati trattamenti a base di vitamina D o esercizio fisico per ridurre il rischio di cadute.
«Gli studi sull'argomento non sono riusciti a dimostrare con certezza l'efficacia di queste terapie e hanno portato a risultati contraddittori» spiega Kirsti Uusi-Rasi, ricercatrice al Ukk institute for health promotion research di Tampere, in Finlandia e prima autrice di un lavoro pubblicato sulla rivista Jama internal medicine.
Per cercare di arrivare a una conclusione definitiva, la ricercatrice ha coinvolto in una ricerca 409 donne finlandesi di età compresa tra 70 e 80 anni che avevano un buon livello di vitamina D all'inizio dello studio ed erano cadute almeno una volta nell'anno precedente. «Abbiamo creato 4 gruppi di trattamento: vitamina D, vitamina D più esercizio, esercizio, nessun trattamento» precisa Uusi-Rasiche assieme ai colleghi ha seguito le donne per due anni raccogliendo informazioni sul numero di cadute mensili ma anche sul numero di cadute con conseguenze importanti, sui livelli di densità ossea, su forza muscolare e mobilità e sul metabolismo della vitamina D.
Al termine dello studio, i risultati non hanno messo in luce alcuna differenza tra i trattamenti sul rischio di cadute. «Né la vitamina D né l'esercizio hanno ridotto le cadute rispetto al gruppo di controllo non trattato» sostiene l'autrice. «Sono comunque emerse differenze nel numero di cadute che hanno causato danni gravi».
Dall'analisi emerge infatti che l'esercizio ha un effetto protettivo in questo senso: nelle donne più allenate è meno probabile che una caduta porti a conseguenze gravi.
«Probabilmente i risultati sono legati al fatto che l'esercizio fisico - a differenza della vitamina D - migliora la forza muscolare e l'equilibrio» conclude Uusi-Rasi.
«I benefici dell'esercizio fisico non possono essere messi in dubbio, ma è ancora presto per mettere in soffitta i trattamenti a base di vitamina D in questo gruppo di persone» commenta dalle pagine della stessa rivista Erin LeBlanc, del Kaiser permanente center for health research di Portland, negli Stati Uniti.
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