Aumento del 50% dei tumori del seno? «No agli allarmismi» dice l’esperta

27 aprile 2015
Interviste

Aumento del 50% dei tumori del seno? «No agli allarmismi» dice l’esperta



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Uno studio preliminare presentato nei giorni scorsi al Meeting annuale dell'American Association for Cancer Research ha previsto che entro il 2030 i casi di cancro alla mammella negli Stati Uniti potrebbero aumentare addirittura del 50 per cento. Ad affermarlo, sulla base di simulazioni matematiche, è un gruppo di ricercatori guidati da Philip Rosenberg, studioso del prestigioso National cancer institute americano. Per capire come interpretare questa allarmante previsione Dica33 ha intervistato la Livia Giordano, medico ed epidemiologo del Centro per la prevenzione oncologica (Cpo) del Piemonte e attuale presidente del Gruppo italiano per lo screening mammografico (Gisma).

Dottoressa Giordano, dobbiamo preoccuparci per questa previsione di un drammatico aumento dei tumori della mammella?
«Una cosa importante da sottolineare è che i ricercatori affermano che aumenterà il numero di casi diagnosticati, ma che il rischio individuale di contrarre la malattia rimarrà costante. Inoltre è importante ricordare che si tratta di una simulazione basata su un modello matematico, di cui è stata per ora presentata una versione molto sintetica, che non permette di comprendere fino in fondo quanto questo dato sia attendibile. I ricercatori stessi hanno dichiarato di aver ripetuto più volte la simulazione con parametri leggermente diversi, ottenendo risultati sempre tendenti all'aumento, ma in misura minore».

Quindi ritiene che si tratti di uno studio poco attendibile?
«Lo studio vero e proprio non è ancora disponibile, poiché al congresso americano è stata presentata una versione preliminare molto sintetica. Tutto fa pensare che sia una ricerca condotta con rigore, ma occorre molta cautela sia riguardo alle cifre sia riguardo alla loro interpretazione. Uno dei risultati che certo richiederà ulteriori approfondimenti riguarda l'aumento delle diagnosi dei tumori cosiddetti "in situ", ovvero quelli che vengono scoperti in fase iniziale, quando non hanno ancora invaso i tessuti circostanti».

Quindi l'aumento previsto sarà legato soprattutto all'aumento delle diagnosi in fase molto precoce? «Sì, secondo i ricercatori una fetta molto significativa dei casi in più riguarderà tumori in fase precoce, che richiedono ulteriori approfondimenti per capire se si tratta di forme tumorali aggressive e con evoluzione rapida - su cui bisogna intervenire con tempestività - o invece di forme quiescenti, che possono restare tali a tempo indefinito e quindi non richiedono altro che una sorveglianza attenta. Loro prevedono anche un aumento in proporzione dei casi Er-positivi, ovvero quelli per cui esistono le migliori terapie farmacologiche, e prevedono che sarà particolarmente concentrato nelle fasce di età più avanzata, oltre i 70 anni.
Rosenberg ha ipotizzato che il continuo incremento di questo tipo di neoplasia dipenda da un lato dall'allungamento della vita media, dall'altro da fattori di stile di vita che influenzano specialmente i tumori collegati agli estrogeni».

Questo potrebbe valere anche per l'Italia?
«Per i motivi sopra elencati anche in Italia potremmo aspettarci un andamento simile. Dobbiamo ricordare però che da noi c'è sicuramente una distribuzione per fasce d'età diversa e un approccio alla prevenzione più conservativo. Mentre negli Stati Uniti lo screening mammografico è condotto con un approccio spontaneo, su base individuale, in Italia sono da tempo attivi programmi - oggi sono diffusi in tutte le Regioni - che invitano le donne a sottoporsi con regolarità al test e che applicano rigorosi controlli di qualità a tutte le fasi del processo».
Quali sono le raccomandazioni alle donne, in tema di diagnosi precoce del tumore della mammella?
«Il ministero della Salute raccomanda a tutte le donne di età compresa tra 50 e 69 anni di sottoporsi ogni due anni alla mammografia. Attualmente si sta valutando l'opportunità di estendere l'esame anche ad altre fasce d'età, e si sperimentano nuove soluzioni - come per esempio la tomosintesi - che potrebbero offrire una migliore capacità di diagnosticare correttamente i tumori, con minori rischi di ottenere risultati falsi positivi e falsi negativi rispetto alla mammografia tradizionale».

Fabio Turone



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