Connessi per il futuro: l'importanza dell'assistenza territoriale

27 maggio 2022
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Connessi per il futuro: l'importanza dell'assistenza territoriale



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Digitalizzazione sanitaria, nuove tecnologie, medicina di prossimità: oggi più che mai è chiaro che le sfide del futuro partono proprio da questi tre elementi. La digitalizzazione dei processi di cura comporta un notevole impegno di risorse richiedendo continuità di assistenza e una forte integrazione dei servizi socio-sanitari, con l'obiettivo di raggiungere una sanità territoriale capillare e strategicamente attenta alle necessità e ai bisogni dei pazienti e di chi se ne prende cura. Di questo si è parlato nel corso di Roche Now, il digital talk firmato Roche Italia.

Migliorare la medicina territoriale con l’analisi dei dati


Per migliorare la medicina territoriale si deve partire da una analisi delle priorità, delle tempistiche e delle interdipendenze che esistono in ciascun ambito di intervento, infatti, per ottenere il massimo della tecnologia è necessaria una strategia digitale chiara e integrata in tutti gli ambiti di innovazione. «La medicina territoriale è una medicina che va incontro ai nuovi bisogni della gente, i potenziali utenti che sono cambiati nel corso degli anni» ha spiegato il professor Luigi Cavanna, presidente della società scientifica CIPOMO, Collegio Italiano dei Primari Oncologi Medici Ospedalieri, e direttore dell'Usl di Piacenza. «Ci siamo resi conto, grazie alla pandemia da Covid-19, quanto sia importante lavorare in ambito pre-ospedaliero, cercando di intercettare i bisogni dei pazienti e dando una risposta concreta. Sappiamo che la maggior parte dei malati sono anziani, con più patologie, e se riusciamo a curarli prima che si arrivi all'ospedale, otteniamo due grandi risultati: il primo è per il singolo che viene curato meglio o a casa o in strutture vicino al proprio domicilio; il secondo è che non si va a sovraccaricare gli ospedali».

Il paziente oncologico modello di una organizzazione di cura


Tra chi ha avuto una diagnosi di tumore, ci sono diverse categorie: i guariti, i lungo sopravviventi, le persone in chemioterapia, le persone in follow-up. «Queste diverse categorie hanno bisogni diversi e oggi hanno come riferimento la sola oncologia ospedaliera» ha sottolineato Cavanna «quindi dovremmo dare una risposta diversa ai diversi bisogni. Data questa complessità il malato oncologico può essere preso a modello per aprire la strada per organizzare le esigenze di tanti altri malati». Ma quali sono i vantaggi reali per il paziente? «Per il paziente essere curato vicino al domicilio fa risparmiare tempo e risorse economiche. Si pensi per esempio ad una persona che deve fare 50-60 chilometri per arrivare in ospedale, che deve andare accompagnata da un caregiver, il quale perde una giornata di lavoro. Secondo uno studio, la distanza dal centro di cura condiziona un ritardo della diagnosi, una terapia non appropriata, un esito peggiore, una minore qualità di vita».

PNRR e riorganizzazione della cura sul territorio

Il PNNR costituisce una grande opportunità per riorganizzare la sanità territoriale: «prima di tutto ritengo che si debba investire nella formazione del personale, più che nella tecnologia» ha spiegato Cavanna «Il medico e l'infermiere devono avere una preparazione tecnica e culturale, ma soprattutto devono avere la coscienza che stanno curando una persona con un proprio vissuto, un lavoro, una propria famiglia. Quindi le nostre cure devono far sì che il paziente riesca a mantenere la propria vita il più normale possibile». Per quanto riguarda il sistema sanitario italiano «dobbiamo difenderlo, poiché assiste tutti, ma per farlo, deve essere sostenibile. È dunque necessario agire su tre fronti: l'appropriatezza terapeutica prima di tutto; più coinvolgimento dei pazienti in nuovi studi clinici; e infine organizzare una rete oncologica efficiente, con un vero confronto tra centri». In futuro, «la medicina avrà sempre più terapie personalizzate più tollerate dal malato con meno effetti collaterali», ma per una migliore organizzazione territoriale, «i medici ospedalieri dovrebbero uscire dall'ospedale, in modo organizzato e tracciato, e andare sul territorio così come abbiamo fatto in poco tempo, riorganizzandoci, in occasione della pandemia da Covid-19».



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