14 luglio 2016
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Vegan mania: quando si eccede
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Diventata una delle diete più di moda, la vegana è quel modello vegetariano che esclude dall'alimentazione carne, pesce e ogni prodotto di origine animale compresi uova, latte, latticini e miele. Nata come risposta alla scoperta in campo scientifico della pericolosità per la salute di un consumo eccessivo di carni rosse, soprattutto di quelle lavorate come carne in scatola, salumi ed essiccati, sta conoscendo una fase di fanatismo di cui la psichiatria inizia da poco ad interessarsi.
La cronaca di questi tempi ha portato all'attenzione dell'opinione pubblica le storie di due bambini - con genitori vegani convinti - ricoverati in ospedale a Milano e Firenze per stato di denutrizione. Il dibattitto, dunque, non coinvolge più soltanto nutrizionisti e pediatri, ma si sta spostando sotto la lente dei Disturbi del comportamento alimentare, che oltre all'anoressia e alla bulimia, oggi comprendono anche i disordini legati all'alimentazione corretta, cioè l'ortoressia, una forma di ossessione per la qualità del cibo.
«Si tratta di un atteggiamento che inizia come epurazione progressiva di determinati alimenti», ci spiega Elio Sena, specialista in neurologia e psichiatria e psicoterapeuta di formazione freudiana. «Non necessariamente si ha come prima manifestazione di una malattia molto grave, come può essere l'anoressia mentale, l'abolizione dell'assunzione di cibo, ma molto spesso alcune sindromi psichiatriche si annunciano, rispetto a queste turbe dell'alimentazione, con l'eliminazione di determinati cibi», come nel caso del regime vegano rigidamente inteso, «fino ad attribuire all'assunzione di alcune sostanze un valore quasi terapeutico, di protezione particolare (dal rischio di tumori ad esempio ndr) per il buon funzionamento del proprio corpo e dall'altra parte vedendo come causa di tutti i propri mali l'assunzione di determinati alimenti» afferma Sena.
Rispetto all'anoressia e alla bulimia, inoltre, le forme di ortoressia risultano socialmente accettate e dunque rappresentano forse un pericolo ancora maggiore sotto un aspetto psichico ma non solo. Prosegue Sena: «C'è una progressiva limitazione dell'accesso al cibo che viene giustificata in termini salutistici. Se entro certi limiti questo è vero, come nel momento in cui si dice "Evito i grassi perché mi voglio mantenere in linea", altro discorso è dire "Evito, evito, evito perché credo di stare bene soltanto se mi mantengo in quel regime nonostante pesi 30 chili». Sono dunque due concetti molto diversi e distinti, che non vogliono mettere in cattiva luce l'invito a un'alimentazione corretta, scientificamente supportata da studi e riscontri inequivocabili. Tuttavia, quando si parte da una dieta sana nella sua completezza per poi debordare in una manovra difensiva nei confronti del cibo, «con uno schema alimentare integralistico che, nonostante la sua origine scientifica, è applicato troppo rigidamente, non siamo più di fronte a un substrato comune di pensiero, ma a un'idea personale ritenuta salvifica» dice Sena.
L'organismo umano, per il suo buon funzionamento, «ha necessità di proteine, sali minerali, vitamine, zuccheri, grassi, acqua» e in qualche forma vanno pur sempre assunti. Tornando alla psichiatria, «quando c'è un'investitura magica di un'idea, si diventa sudditi, degli osservanti, e si sfocia in quella che comunemente si definisce "fissazione", dedizione assoluta a un credo, nei casi estremi». Si attribuisce, dunque, un valore protettivo all'alimentazione che in realtà non ha, vedendo come pericoloso ciò che arriva dall'esterno, come se fosse un invasore. «In questo senso, le situazioni più a rischio sono quelle in cui esiste una fragilità psichica in cui, da una parte si ricerca un mondo ideale e incontaminato e dall'altra si ha un problema di relazione con l'oggetto che è fuori di sé ma pur sempre in una rete affettiva» conclude lo psichiatra.
Maria Elena Capitanio
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