14 settembre 2016
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Rabbia repressa, quando dietro un sorriso si nasconde aggressività
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Davanti ci sorridono ma dentro covano rancore, invidia, odio, frustrazione e chi più ne ha più ne metta. Sono i cosiddetti soggetti passivo-aggressivi, che comunemente vengono definiti "falsi". Come ci spiega Simona Novi, psicoterapeuta di formazione sistemico-relazionale, «ogni comportamento è una forma di comunicazione, anche il silenzio». Chi ha una rabbia repressa, e rivela passività aggressiva, «utilizza delle modalità indirette per manifestare la propria ira. Tra queste, il silenzio, l'ostruzionismo, lo sparlare degli altri, negare i propri sentimenti quando vengono riconosciuti dagli altri, l'indifferenza, la non collaborazione».
Queste persone «è come se vivessero un conflitto tra l'essere gentili e disponibili, e l'essere ostili».
E quindi come si risolve questa dissonanza cognitiva?
«Riuscendo nello stesso momento a essere gentili e ostili. La maggior parte delle persone passive-aggressive, infatti, riescono con il sorriso a manifestare aggressività, si tratta di un modo di vendicarsi "dolce" che però dà all'altro la sensazione di essere dominato e alla persona che manifesta passività-aggressiva di dominare».
Quali possono essere le motivazioni per cui la persona tende a manifestare la propria rabbia in maniera diretta o indiretta?
«Partiamo dicendo che è una questione culturale: da bambini ci viene insegnato che la rabbia non va proprio manifestata, che "non sta bene"». Potrebbe essere anche un fatto religioso, «degli archetipi legati alla religione cattolica in cui la rabbia è vista come manifestazione di cattiveria». A proposito della famiglia di origine dei soggetti passivo-aggressivi, potrebbe trattarsi di un nucleo «in cui vige un po' il mito famigliare che tutto è perfetto, che tutto va bene e che quindi non ci sono conflitti e nulla va manifestato, nulla va espresso».
La "maschera della bontà" di alcune persone potrebbe dunque non correlarsi con la realtà e trovare altri sfoghi portando poi alla messa in atto di «relazioni disfunzionali». Non c'è onestà nel manifestarsi agli altri: «Sorrido a una persona con il viso però internamente le sto dicendo qualcosa di spiacevole, il non-verbale arriva comunque. Quella persona comunque sentirà quell'altalena di emozioni e non avrò autenticità nel rapporto».
Esistono tre tipi di comunicazione: verbale, paraverbale e non-verbale. «Il paraverbale è il timbro, il tono della voce, mentre il non-verbale è il comportamento non della verbalizzazione».
E c'è una gerarchia?
«Diverse ricerche americane del 2015 dimostrano che quella non-verbale è la forma di comunicazione che arriva di più». L'essere umano bada molto a come gli viene detto qualcosa piuttosto che alle parole tout court.
Qual è la soluzione per chi si accorge di avere il problema della rabbia repressa?
«Le nostre emozioni sono per lo più inconsapevoli e l'unica modalità che abbiamo per renderle conoscibili è verbalizzarle. Nel momento in cui le verbalizziamo, esercitiamo la nostra intelligenza emotiva».
Va infine fatta una distinzione tra «personalità passivo-aggressiva e persone che hanno solo comportamenti passivo-aggressivi». Tutto dipende «dall'intensità e la frequenza con cui si verificano questi episodi, come accade per la diagnosi di altri problemi psicologici.
Lo psicoterapeuta cosa dovrà fare?
«Egli procederà al rastrellamento del vissuto della persona per capire a cosa sia dovuto quel comportamento, che molto spesso è il risultato delle relazioni familiari». Persone passivo-aggressive potrebbero aver avuto «uno dei due genitori dominante mentre l'altro passivo, interiorizzando in tal modo entrambe le modalità di comportamento». Vogliono, con questi atteggiamenti, dare un'immagine positiva perché «sono in difficoltà ad affrontare l'altro e a gestire il conflitto».
Maria Elena Capitanio
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