30 maggio 2008
Aggiornamenti e focus
La durata è da stabilire
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La trombosi venosa profonda, l'embolia polmonare o la loro probabilità elevata sono casi nei quali si deve ricorrere alla terapia anticoagulante, così come in diverse situazioni, arteriose, cardio e cerebrovascolari, d'immobilizzazione protratta e anche tumorali. La necessità di prevenire la formazione dei trombi va però bilanciata con la sicurezza rispetto alla possibile insorgenza di emorragie, e per questo è determinante stabilire la durata ottimale della terapia anticoagulante, in relazione al caso specifico. Un aspetto indagato negli ultimi quindici anni da vari trial clinici, dai quali non sono emersi chiari vantaggi nel prolungamento da tre a sei mesi dell'anticoagulante normalmente usato, cioè il warfarin, né d'altra parte nella prevenzione delle recidive sul lungo periodo. Anche se è da valutare l'effetto in tal senso di un trattamento più prolungato. La questione della durata ottimale della terapia anticoagulante è in realtà ancora aperta: nuovi utili elementi li ha forniti un recente studio britannico, pubblicato nel 2007 sul Bmj.
L'intenzione è stata appunto confrontare rischi e benefici della terapia anticoagulante orale (TAO) con warfarin somministrata per tre o sei mesi, dopo un trattamento iniziale per cinque giorni con eparina. I 749 partecipanti, maggiori di 18 anni, avevano una diagnosi oppure un sospetto di trombosi venosa profonda (TVP) o di embolia polmonare o di entrambi; metà sono entrati in modo randomizzato nel gruppo tre mesi e metà in quello sei mesi. I soggetti deceduti per la patologia sono stati due con la durata minore e tre con quella maggiore, quelli in cui in corso di terapia non si è risolto il problema né si sono prevenute recidive trombotiche sono stati sei nel primo gruppo e dieci nel secondo. Dopo il periodo di trattamento, cioè a un anno, si sono registrate 23 recidive non fatali nel gruppo tre mesi e 16 in quello sei mesi. In sostanza gli eventi fatali o non fatali durante o dopo il trattamento sono insorti nell'8% dei soggetti con la TAO più breve e sempre nell'8% di quelli con terapia più lunga. Quanto al rischio di emorragia, non si sono riscontrati episodi fatali durante il trattamento, ma si sono avuti otto episodi maggiori nei trattati per sei mesi contro nessuno dei trattati per tre mesi, cioè il 2% contro lo 0%. Non si è dunque evidenziato un beneficio per la TAO più prolungata mentre si è chiaramente mostrato un rischio di emorragia, in concordanza con gli altri studi e meta-analisi di dati, sottolinea l'editoriale. Il quale ricorda che nei trial si era anche riscontrato un certo raggruppamento delle recidive subito dopo l'interruzione del trattamento, una sorta di "fenomeno di recupero" di causa sconosciuta, ma che potrebbe dipendere da un'ipercoagulabilità del sangue conseguente allo stop del warfarin o da uno stato trombogenico continuativo in alcuni pazienti.
A questo punto quale può essere il razionale della durata del trattamento con anticoagulanti nella trombosi venosa? L'editoriale lo sintetizza in questo modo. Nei casi senza fattori di rischio conosciuti di recidiva sembra che il vantaggio di protrarre la terapia da tre mesi fino a sei mesi non ci sia o sia minimo, e ogni possibile beneficio andrebbe comunque valutato a fronte dell'aumentato rischio di emorragia. A causa del fenomeno di recupero, se ci sono fattori di rischio continuativi reversibili la terapia può essere protratta finché il rischio non sia più presente, oppure si decida per proseguire indefinitamente. Quest'ultima decisione può essere presa ragionevolmente in considerazione quando c'è una probabilità di recidiva molto elevata, come nei pazienti con più di un episodio di trombosi, con trombosi e tumori, ad alto rischio trombofilico, o anche in quelli con sindrome post-trombotica severa o fortemente propensi a minimizzare il rischio di trombosi utilizzando la TAO. Resta però da valutare la durata terapeutica ottimale nei vari sottogruppi di pazienti, così come per quella per tempo indefinito i rischi e i benefici in termini di mortalità, morbilità e anche qualità di vita.
Elettra Vecchia
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Benefici e rischi da bilanciare
L'intenzione è stata appunto confrontare rischi e benefici della terapia anticoagulante orale (TAO) con warfarin somministrata per tre o sei mesi, dopo un trattamento iniziale per cinque giorni con eparina. I 749 partecipanti, maggiori di 18 anni, avevano una diagnosi oppure un sospetto di trombosi venosa profonda (TVP) o di embolia polmonare o di entrambi; metà sono entrati in modo randomizzato nel gruppo tre mesi e metà in quello sei mesi. I soggetti deceduti per la patologia sono stati due con la durata minore e tre con quella maggiore, quelli in cui in corso di terapia non si è risolto il problema né si sono prevenute recidive trombotiche sono stati sei nel primo gruppo e dieci nel secondo. Dopo il periodo di trattamento, cioè a un anno, si sono registrate 23 recidive non fatali nel gruppo tre mesi e 16 in quello sei mesi. In sostanza gli eventi fatali o non fatali durante o dopo il trattamento sono insorti nell'8% dei soggetti con la TAO più breve e sempre nell'8% di quelli con terapia più lunga. Quanto al rischio di emorragia, non si sono riscontrati episodi fatali durante il trattamento, ma si sono avuti otto episodi maggiori nei trattati per sei mesi contro nessuno dei trattati per tre mesi, cioè il 2% contro lo 0%. Non si è dunque evidenziato un beneficio per la TAO più prolungata mentre si è chiaramente mostrato un rischio di emorragia, in concordanza con gli altri studi e meta-analisi di dati, sottolinea l'editoriale. Il quale ricorda che nei trial si era anche riscontrato un certo raggruppamento delle recidive subito dopo l'interruzione del trattamento, una sorta di "fenomeno di recupero" di causa sconosciuta, ma che potrebbe dipendere da un'ipercoagulabilità del sangue conseguente allo stop del warfarin o da uno stato trombogenico continuativo in alcuni pazienti.
Prolungare solo in certi casi
A questo punto quale può essere il razionale della durata del trattamento con anticoagulanti nella trombosi venosa? L'editoriale lo sintetizza in questo modo. Nei casi senza fattori di rischio conosciuti di recidiva sembra che il vantaggio di protrarre la terapia da tre mesi fino a sei mesi non ci sia o sia minimo, e ogni possibile beneficio andrebbe comunque valutato a fronte dell'aumentato rischio di emorragia. A causa del fenomeno di recupero, se ci sono fattori di rischio continuativi reversibili la terapia può essere protratta finché il rischio non sia più presente, oppure si decida per proseguire indefinitamente. Quest'ultima decisione può essere presa ragionevolmente in considerazione quando c'è una probabilità di recidiva molto elevata, come nei pazienti con più di un episodio di trombosi, con trombosi e tumori, ad alto rischio trombofilico, o anche in quelli con sindrome post-trombotica severa o fortemente propensi a minimizzare il rischio di trombosi utilizzando la TAO. Resta però da valutare la durata terapeutica ottimale nei vari sottogruppi di pazienti, così come per quella per tempo indefinito i rischi e i benefici in termini di mortalità, morbilità e anche qualità di vita.
Elettra Vecchia
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