12 gennaio 2005
Aggiornamenti e focus
Sotto il bisturi una volta sola
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Anche i pazienti con qualche problema alle coronarie possono doversi sottoporre a interventi chirurgici. In questo caso può rendersi necessario, prima dell'intervento programmato, procedere alla rivascolarizzazione o mediante l'angioplastica o mediante il by-pass. Questo è vero in caso di rischio di complicanze cardiache perioperatorie e di patologie coronariche clinicamente significative. Lo scopo è di evitare che il paziente possa trovarsi a subire un infarto mentre è sotto i ferri. Tuttavia non è detto che questa "preparazione" sia sempre necessaria, indipendentemente dalle condizioni di partenza del paziente. I ricercatori del Centro medico del Minneapolis Veterans Affairs hanno preso in considerazione le due ipotesi (rivascolarizzare o non rivascolarizzare) in un gruppo di circa 500 pazienti che in ogni caso si sarebbero sottoposti a chirurgia vascolare, verificando la mortalità a lungo termine.
Si trattava di soggetti con aneurisma aortico addominale espansivo o con patologie arteriose occlusive delle gambe, tutti con disturbi delle coronarie stabili. Metà di loro è stata avviata a sottoporsi a rivascolarizzazione coronarica o con angioplastica o by-pass. L'altra metà ha invece seguito solo un regime farmacologico, per altro somministrato anche all'altro gruppo. I pazienti hanno infatti assunto beta-bloccanti, o statine, o aspirina. Il monitoraggio è proseguito dopo l'intervento chirurgico a cui tutti i pazienti erano stati assegnati e, a distanza di più di due anni e mezzo (2,7) tra i due gruppi non c'erano differenze in termini di incidenza di mortalità (22% nel primo, 23% nel secondo) per infarto del miocardio.
I risultati devono essere letti e interpretati sulla base dei criteri con cui i soggetti sono stati inclusi nello studio, che hanno escluso casi di patologie coronariche instabili, patologie coronariche del ramo principale sinistro, stenosi aortica o disfunzioni gravi del ventricolo sinistro. Fornendo quindi un trattamento farmacologico adeguato, la rivascolarizzazione coronarica non sembrava dare benefici aggiuntivi. Tali conclusioni rispecchiano quelle di altri studi clinici randomizzati: la rivascolarizzazione coronarica non regge il confronto con un buon regime farmacologico nei pazienti considerati a "basso rischio" in quanto non riduce il rischio di infarto anche tardivo. Insomma, come dire: visto che in sala operatoria bisogna andare che ci si vada una volta soltanto. Una strategia da prendere in seria considerazione nel momento in cui si valuta il rischio in questo tipo di pazienti.
Simona Zazzetta
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Pillole o bisturi
Si trattava di soggetti con aneurisma aortico addominale espansivo o con patologie arteriose occlusive delle gambe, tutti con disturbi delle coronarie stabili. Metà di loro è stata avviata a sottoporsi a rivascolarizzazione coronarica o con angioplastica o by-pass. L'altra metà ha invece seguito solo un regime farmacologico, per altro somministrato anche all'altro gruppo. I pazienti hanno infatti assunto beta-bloccanti, o statine, o aspirina. Il monitoraggio è proseguito dopo l'intervento chirurgico a cui tutti i pazienti erano stati assegnati e, a distanza di più di due anni e mezzo (2,7) tra i due gruppi non c'erano differenze in termini di incidenza di mortalità (22% nel primo, 23% nel secondo) per infarto del miocardio.
Soggetti a basso rischio
I risultati devono essere letti e interpretati sulla base dei criteri con cui i soggetti sono stati inclusi nello studio, che hanno escluso casi di patologie coronariche instabili, patologie coronariche del ramo principale sinistro, stenosi aortica o disfunzioni gravi del ventricolo sinistro. Fornendo quindi un trattamento farmacologico adeguato, la rivascolarizzazione coronarica non sembrava dare benefici aggiuntivi. Tali conclusioni rispecchiano quelle di altri studi clinici randomizzati: la rivascolarizzazione coronarica non regge il confronto con un buon regime farmacologico nei pazienti considerati a "basso rischio" in quanto non riduce il rischio di infarto anche tardivo. Insomma, come dire: visto che in sala operatoria bisogna andare che ci si vada una volta soltanto. Una strategia da prendere in seria considerazione nel momento in cui si valuta il rischio in questo tipo di pazienti.
Simona Zazzetta
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