06 ottobre 2006
Aggiornamenti e focus
Rischio mai troppo basso
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Sui farmaci non si finisce mai di imparare. Lo stesso vale anche per sostanze il cui impiego è iniziato da parecchio tempo. Non sfuggono alla regola le statine, il rimedio per eccellenza alle ipercolesterolemie. Però, pur conoscendone l'efficacia dei principi attivi appartenenti a questa classe, tutti indistintamente, e pur essendo largamente impiegate, alcuni quesiti attendono ancora una risposta. Per esempio se nella popolazione femminile si ha lo stesso grande vantaggio riscontrato negli uomini. Infatti, ricorda un editoriale di Lancet, finora è apparso che nelle donne si ha un minore beneficio, anche se non va dimenticato che nei grandi studi condotti le donne coinvolte erano relativamente poche, al punto che in alcuni di essi i dati ottenuti non raggiungevano la significatività statistica. Ma non soltanto di questo si tratta. L'altro interrogativo riguarda la prevenzione primaria, cioè il trattamento delle persone che, magari, presentano soltanto un lieve innalzamento dei valori ci colesterolo totale e LDL. Infatti, il "grosso" delle ricerche su cui ci si basa riguarda la prevenzione secondaria, cioè l'uso dopo il primo evento cardiovascolare (infarto, per esempio).
Questi aspetti divengono ancora più importanti alla luce di due circostanze non scientifiche: l'arrivo delle statine generiche, quindi meno care, e, in Gran Bretagna, la proposta di avere una formulazione da banco, cioè acquistabile senza ricetta. Avere prodotti meno cari, infatti può consentire di allargare la platea degli utenti senza sfiancare i Servizi sanitari, dall'altra l'anticolesterolo da banco può affidare alle disponibilità del cittadino. Ma questo, dal punto di vista epidemiologico, ha senso soltanto se c'è un vantaggio anche per chi presenta un rischio inferiore. Una parziale risposta viene uno studio giapponese, che ha seguito poco meno di 8000 persone con ipercolesteroplemia moderata, divise in due gruppi, uno trattato con una dieta povera di grassi, l'altro con la dieta più una statina a basso dosaggio. Effettivamente anche in questo studio si dimostra un effetto di riduzione del rischio cardiovascolare, indipendentemente da altri fattori di rischio quali il fumo o il diabete. In pratica, calcola l'editoriale citato all'inizio, trattando 119 persone si "risparmia" un infarto. E' chiaro che in popolazioni "messe peggio", il vantaggio è più evidente, cioè si risparmia un infarto trattando 20 o 50 persone. Resta poi limitato il beneficio per le donne: erano il 70% della popolazione coinvolta nello studio, eppure quasi tutti i vantaggi sono stati determinati dalla minoranza di uomini. Però, in conclusione, le linee guida hanno ragione: più è basso il colesterolo, meglio è. E' quindi il caso di avere un farmaco da banco che svolga questa funzione? Secondo l'editoriale, che è firmato da Cesare Sirtori, farmacologo milanese tra i massimi esperti del settore, i dati dello studio giapponese non paiono giustificare un esborso pubblico per raggiungere anche le popolazioni a basso rischio, ma potrebbero giustificare l'accesso diretto da parte del cittadino. Però, ammonisce Sirtori, non senza la supervisione del medico. Le statine sono sicure, se impiegate correttamente, ma sono pur sempre un farmaco.
Gianluca Casponi
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Generici e da banco
Questi aspetti divengono ancora più importanti alla luce di due circostanze non scientifiche: l'arrivo delle statine generiche, quindi meno care, e, in Gran Bretagna, la proposta di avere una formulazione da banco, cioè acquistabile senza ricetta. Avere prodotti meno cari, infatti può consentire di allargare la platea degli utenti senza sfiancare i Servizi sanitari, dall'altra l'anticolesterolo da banco può affidare alle disponibilità del cittadino. Ma questo, dal punto di vista epidemiologico, ha senso soltanto se c'è un vantaggio anche per chi presenta un rischio inferiore. Una parziale risposta viene uno studio giapponese, che ha seguito poco meno di 8000 persone con ipercolesteroplemia moderata, divise in due gruppi, uno trattato con una dieta povera di grassi, l'altro con la dieta più una statina a basso dosaggio. Effettivamente anche in questo studio si dimostra un effetto di riduzione del rischio cardiovascolare, indipendentemente da altri fattori di rischio quali il fumo o il diabete. In pratica, calcola l'editoriale citato all'inizio, trattando 119 persone si "risparmia" un infarto. E' chiaro che in popolazioni "messe peggio", il vantaggio è più evidente, cioè si risparmia un infarto trattando 20 o 50 persone. Resta poi limitato il beneficio per le donne: erano il 70% della popolazione coinvolta nello studio, eppure quasi tutti i vantaggi sono stati determinati dalla minoranza di uomini. Però, in conclusione, le linee guida hanno ragione: più è basso il colesterolo, meglio è. E' quindi il caso di avere un farmaco da banco che svolga questa funzione? Secondo l'editoriale, che è firmato da Cesare Sirtori, farmacologo milanese tra i massimi esperti del settore, i dati dello studio giapponese non paiono giustificare un esborso pubblico per raggiungere anche le popolazioni a basso rischio, ma potrebbero giustificare l'accesso diretto da parte del cittadino. Però, ammonisce Sirtori, non senza la supervisione del medico. Le statine sono sicure, se impiegate correttamente, ma sono pur sempre un farmaco.
Gianluca Casponi
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