28 marzo 2007
Aggiornamenti e focus
Coronarie tra stent e bypass
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Nella rivascolarizzazione delle coronarie occluse da restringimenti o stenosi, che causano ischemia e quindi rischio d'infarto e ictus cerebrale, si è ormai in piena era degli "stent". Rispetto al tradizionale bypass chirurgico, questi cilindretti posti nel lume del vaso a ripristinarne la pervietà si inseriscono in modo meno invasivo, per via percutanea, e con quelli medicati o d'eluizione si possono prevenire meglio le restenosi, specie precoci. La questione stent o bypass è però ancora in parte controversa, tra l'altro per l'eventualità di trombosi tardive paventata da alcuni studi. Pro e contro, clinici e non solo, che ci sono e andrebbero soppesati. Li mette a fuoco ora sul Bmi l'insieme di tre studi, cioè un'ampia metanalisi di dodici trial su pazienti con lesioni coronariche isolate trattati con i due approcci, seguita dall'analisi di costo-efficacia, più una valutazione di costo-efficacia che include oltre a essi anche la terapia medica.
La metanalisi si è riferita a coronaropatici con lesioni all'arteria discendente anteriore sinistra, la coronaria che apporta più sangue al miocardio; le lesioni nella sua parte prossimale si associano a una prognosi peggiore. L'intervento ideale dovrebbe ridurre il rischio di restenosi minimizzando al tempo stesso morbilità, mortalità e costi. Tradizionalmente si ricorre al bypass che riduce significativamente il rischio di morte, di reinfarto, di angina e di necessità di reintervento, ora anche alla rivascolarizzazione percutanea con stent, che evita la chirurgia invasiva con la sternotomia. La tecnica del bypass si è però a sua volta evoluta diventando oggi meno invasiva, richiedendo una piccola toracotomia o sternotomia e in molti casi realizzandosi "off-pump", cioè a cuore battente con dispositivi di stabilizzazione cardiaca. Nella metanalisi si sono appunto confrontati il miglior intervento percutaneo, lo stenting transluminale, e l'intervento chirurgico meno invasivo di bypass. Considerando l'insieme dei dodici trial, in totale 1.952 pazienti, con un follow-up in genere minore di quattro anni, non sono emerse differenze significative per infarto, ictus, mortalità. Tuttavia con lo stent sono risultati significativamente più elevati la ricorrenza di angina, gli eventi coronarici e cerebrali maggiori, la necessità di successiva rivascolarizzazione con stent. Con la chirurgia sembra si ottenga cioè una rivascolarizzazione più definitiva sul medio termine. E nella successiva analisi sulla stessa casistica, si conferma che lo stenting è più costo-efficace sul breve periodo, specie i primi due anni, mentre la chirurgia lo diventa probabilmente di più sul periodo da medio a lungo. Infine, l'altro studio di costo-efficacia ha confrontato, con un periodo d'osservazione di sei anni, operazioni di bypass, interventi percutanei (compresi gli stenting), e terapie mediche eseguiti in tre centri londinesi su 1.700 coronaropatici. Chirurgia e terapia medica, ma non lo stent, sono risultate altrettanto valide e costo-efficaci rispetto agli standard sanitari nazional , e il beneficio addizionale dell'approccio percutaneo rispetto al trattamento medico è stato ritenuto troppo piccolo per giustificare i suoi costi aggiuntivi.
A commento di questi risultati, l'editoriale fissa alcuni punti. Intanto anche per la mortalità ci potrebbe essere una sottostima dei benefici della chirurgia, in quanto si evidenzierebbero in tempi più lunghi di quelli degli studi; e pazienti con lesioni severe e complesse che riguardano più vasi erano in genere esclusi dallo stenting negli stessi studi. La chirurgia poi, per via della localizzazione del bypass, sarebbe protettiva per l'intera zona miocardica vulnerabile e contro le nuove lesioni nella patologia diffusa, risultando più efficace nella maggior parte dei casi di malattia estesa a più vasi. In questo tipo di pazienti, la strategia dello stenting potrebbe negare a differenza della chirurgia la prospettiva di migliori risultati sul lungo periodo in termini di sopravvivenza e di libertà da successive rivascolarizzazioni. Questi casi andrebbero allora ben ponderati in base alle valutazioni del cardiologo e del chirurgo per arrivare a un consiglio bilanciato.
Elettra Vecchia
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Rischio di angina e rivascolarizzazione
La metanalisi si è riferita a coronaropatici con lesioni all'arteria discendente anteriore sinistra, la coronaria che apporta più sangue al miocardio; le lesioni nella sua parte prossimale si associano a una prognosi peggiore. L'intervento ideale dovrebbe ridurre il rischio di restenosi minimizzando al tempo stesso morbilità, mortalità e costi. Tradizionalmente si ricorre al bypass che riduce significativamente il rischio di morte, di reinfarto, di angina e di necessità di reintervento, ora anche alla rivascolarizzazione percutanea con stent, che evita la chirurgia invasiva con la sternotomia. La tecnica del bypass si è però a sua volta evoluta diventando oggi meno invasiva, richiedendo una piccola toracotomia o sternotomia e in molti casi realizzandosi "off-pump", cioè a cuore battente con dispositivi di stabilizzazione cardiaca. Nella metanalisi si sono appunto confrontati il miglior intervento percutaneo, lo stenting transluminale, e l'intervento chirurgico meno invasivo di bypass. Considerando l'insieme dei dodici trial, in totale 1.952 pazienti, con un follow-up in genere minore di quattro anni, non sono emerse differenze significative per infarto, ictus, mortalità. Tuttavia con lo stent sono risultati significativamente più elevati la ricorrenza di angina, gli eventi coronarici e cerebrali maggiori, la necessità di successiva rivascolarizzazione con stent. Con la chirurgia sembra si ottenga cioè una rivascolarizzazione più definitiva sul medio termine. E nella successiva analisi sulla stessa casistica, si conferma che lo stenting è più costo-efficace sul breve periodo, specie i primi due anni, mentre la chirurgia lo diventa probabilmente di più sul periodo da medio a lungo. Infine, l'altro studio di costo-efficacia ha confrontato, con un periodo d'osservazione di sei anni, operazioni di bypass, interventi percutanei (compresi gli stenting), e terapie mediche eseguiti in tre centri londinesi su 1.700 coronaropatici. Chirurgia e terapia medica, ma non lo stent, sono risultate altrettanto valide e costo-efficaci rispetto agli standard sanitari nazional , e il beneficio addizionale dell'approccio percutaneo rispetto al trattamento medico è stato ritenuto troppo piccolo per giustificare i suoi costi aggiuntivi.
Protezione nelle lesioni a più vasi
A commento di questi risultati, l'editoriale fissa alcuni punti. Intanto anche per la mortalità ci potrebbe essere una sottostima dei benefici della chirurgia, in quanto si evidenzierebbero in tempi più lunghi di quelli degli studi; e pazienti con lesioni severe e complesse che riguardano più vasi erano in genere esclusi dallo stenting negli stessi studi. La chirurgia poi, per via della localizzazione del bypass, sarebbe protettiva per l'intera zona miocardica vulnerabile e contro le nuove lesioni nella patologia diffusa, risultando più efficace nella maggior parte dei casi di malattia estesa a più vasi. In questo tipo di pazienti, la strategia dello stenting potrebbe negare a differenza della chirurgia la prospettiva di migliori risultati sul lungo periodo in termini di sopravvivenza e di libertà da successive rivascolarizzazioni. Questi casi andrebbero allora ben ponderati in base alle valutazioni del cardiologo e del chirurgo per arrivare a un consiglio bilanciato.
Elettra Vecchia
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