Dall'infarto al diabete

05 settembre 2007
Aggiornamenti e focus

Dall'infarto al diabete



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Tra il diabete di tipo 2 e le malattie cardiovascolari esiste un rapporto, nel senso che la prima patologia è un noto fattore di rischio d'infarto miocardico e gli eventi coronarici sono la principale causa di morte nel diabetico. Si è anche visto che nella sindrome metabolica valori di glicemia subdiabetici sono già fattori predisponenti gli eventi coronarici; secondo molte ricerche, come confermato anche al congresso europeo di cardiologia in questi giorni a Vienna, il diabete da malattia metabolica verrebbe quasi considerata una malattia vascolare, per i danni prodotti a questo livello. L'infarto conseguirebbe come reazione acuta da stress mediata dall'intolleranza al glucosio e dall'insulinoresistenza. Se è ben chiaro che il diabete è pericoloso per il cuore, molto meno si è indagato sulla relazione inversa, cioè sul rischio di sviluppare la malattia metabolica in seguito a un recente attacco cardiaco. Un rischio che esiste, come mostra uno studio che l'ha valutato specificamente e che suggerisce, quindi, monitoraggi e interventi adeguati sui fattori predisponenti.

Lo studio


La teoria iniziale era appunto quella della confluenza, nelle persone colpite da infarto, di fattori di rischio che potrebbero aumentare l'incidenza del diabete o della condizione prediabetica indicata dalla glicemia alterata a digiuno (IFG). Per verificare quest'ipotesi e quantificare il rischio gli autori (di Mario Negri Sud, Policlinico di Pavia e San Gerardo di Monza, insieme all'Harvard medical school di Boston) hanno condotto un'analisi retrospettiva di dati dello studio GISSI-prevenzione, che riguardava la supplementazione di olio di pesce e vitamina E nel post-infarto. Si sono considerate 8.291 persone colpite da infarto miocardico nei tre mesi precedenti, non diabetiche, ricercando il diabete di nuova insorgenza (necessità di farmaci o glicemia a digiuno di almeno 7 mmol/l, o 126 mg/dl) oppure l'IFG (tra 6,1 e 7 mmol/l, o da 110 a 126 mg/dl), in un periodo medio di 3,2 anni. Risultato: in quest'arco di tempo il 12% dei soggetti ha sviluppato la malattia diabetica e il 33% dei 7.533 partecipanti con glicemia a digiuno normale cioè minore di 6,1 mmol/l ha sviluppato o il diabete o l'IFG. Fattori di rischio indipendenti per queste due condizioni patologiche si sono dimostrati età più elevata, ipertensione, uso di farmaci beta-bloccanti, diuretici e ipolipemizzanti. Da focalizzare soprattutto il ruolo dimostrato per fattori di rischio indipendenti chiaramente legati allo stile di vita.

Il legame c'è


Ben un terzo degli infartuati è andato incontro quindi a diabete o IFG, proporzione che saliva a due terzi se ci si riferiva a livelli glicemici di soli 5,6 mmol/l, molto al di sotto dei 7 della soglia diagnostica del diabete, ma sufficienti per un valore prognostico in tal senso. Nella riflessione degli autori, questi risultati suggeriscono che, come il diabete si può considerare un equivalente di rischio di coronaropatia, così l'infarto miocardico si possa ritenere potenzialmente un equivalente di rischio di prediabete. Ipertensione, fumo, aumento ponderale e gli altri elementi potrebbero essere marker o fattori di rischio sia della rottura della placca aterosclerotica sia della disfunzione metabolica, attraverso vie comuni. Oltre alla necessità di approfondire i meccanismi del legame tra patologia diabetica e coronarica, le evidenze dello studio pongono l'accento su due aspetti. Da un lato quello del monitoraggio dell'iperglicemia dopo un infarto acuto, per identificare più accuratamente i soggetti con diabete occulto o IFG. Dall'altro, soprattutto, l'esigenza di agire sui fattori modificabili che favoriscono l'insorgenza del dismetabolismo, cioè quelli consueti legati allo stile di vita raggruppabili nella terna fumo, alimentazione scorretta, sedentarietà: e in particolare qui, la dieta mediterranea si ribadisce protagonista, mostrandosi protettiva anche su questo fronte, in questo studio come in altri.

Elettra Vecchia



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