Poche nozioni sull'infarto

30 maggio 2008
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Poche nozioni sull'infarto



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Si impara qualcosa dagli incidenti? Di solito sì, ma non è sempre così vero per tutti, in particolare quando si tratta di malattie acute (quelle croniche purtroppo si fanno ricordare benissimo tutti i giorni). A questa conclusione giunge un grande studio statunitense, condotto su oltre tremila pazienti reduci da un'ischemia coronarica acuta. Questo numeroso gruppo è stato valutato per quanto riguarda le conoscenze sulle malattie coronariche, non tanto in termini di dottrina, ma di rischi concreti, sintomi e atteggiamento da tenere. La valutazione è stata condotta con l'uso di un questionario, ma una volta tanto questo non è un limite, perché se si deve misurare il possesso di certe nozioni è lo strumento ideale. Le persone coinvolte avevano un'età media di 67 anni, le donne rappresentavano il 32%.
La prima risposta è che malgrado l'esperienza passata, le conoscenze dei pazienti potrebbero essere migliori. Per cominciare, il 46% del campione ha risposto correttamente a meno del 70% dei quesiti previsti, percentuale prevista come soglia della buona informazione. Insomma, conoscenze inadeguate a gestire correttamente la propria situazione, e questo non dipendeva né dalla natura dell'esperienza precedente (un infarto, un'angioplastica o l'esecuzione di un bypass) né dai fattori di rischio individuali, per esempio avere una colesterolemia elevata o continuare a fumare.

Disinformazione che può costare cara


Le lacune più gravi erano tali davvero. Per esempio, la più macroscopica è che ben il 43% dei partecipanti allo studio, pur essendo tutti molto più esposti a un futuro infarto, si ritenevano più a rischio dei coetanei senza precedenti cardiovascolari e, a volte, si ritenevano meno a rischio. In particolare, a giudicare migliore la propria posizione era chi aveva subito un bypass o i più giovani. Un altro aspetto preoccupante è che c'era un 31% di persone che riteneva, in caso di presenza di sintomi, che fosse meglio salire in auto e recarsi autonomamente all'ospedale invece di chiamare l'ambulanza. Fin qui il bicchiere mezzo vuoto, quello mezzo pieno è che non è sempre così, in quanto la popolazione femminile ha mostrato non soltanto un maggior livello di conoscenza generale, ma anche una maggior propensione a valutare correttamente il proprio livello di rischio e una maggiore capacità di individuare correttamente i sintomi dell'infarto, anche quelli meno noti, come il dolore alla schiena, la nausea o il dolore alle fauci. Di converso, i maschi, pur sapendone meno erano più propensi a dichiararsi in grado non soltanto di identificare i propri sintomi, ma anche quelli di un'altra persona. Questa maggiore informazione delle donne ha un po' stupito i ricercatori, in quanto storicamente le donne avevano una bassa percezione del proprio rischio cardiovascolare e a questa si attribuiva il fatto che fossero soprattutto loro ad arrivare tardi in ospedale. La relativa ignoranza femminile, peraltro, discendeva dalla generale sottovalutazione, anche da parte dei medici non specialisti, del fatto che fossero proprio le malattie cardiovascolari la prima causa di morte per le donne. Quindi, il difetto stava nel manico.

Responsabilità condivise


Ma la responsabilità della scarsa conoscenza non va attribuita soltanto ai pazienti. Infatti, se è vero che il livello aumenta quanto più la persona è istruita e giovane, resta il fatto che sono più informati coloro che sono stati seguiti da un cardiologo dopo la dimissione dall'ospedale, o comunque dopo l'evento acuto, e non da un medico di famiglia o da un internista (attenzione, però, che si parla degli Stati Uniti, non dell'Europa). Poi ci sono aree in cui le carenze sono evidentemente generali: se la percezione corretta del rischio non dipende dal gatto che ci sia stata l'assistenza di un cardiologo, piuttosto che di altri, oppure del fatto di avere seguito un programma di riabilitazione, è segno che bisogna molto semplicemente aumentare l'intervento su questo aspetto. La posta in gioco è alta: infatti lo studio è stato condotto nell'ipotesi che chi è consapevole di rischiare di più ed è in grado di riconoscere i sintomi, più probabilmente non perderà tempo a chiamare l'ambulanza.

Maurizio Imperiali



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