29 marzo 2006
Aggiornamenti e focus
Discutibili grassi del pesce
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Gli acidi grassi Omega 3 rappresentano, per i poco amanti dei farmaci di sintesi, un'occasione d'oro per prevenire-curare la patologia del terzo millennio, cioè l'infarto e simili.Questi acidi grassi polinsaturi, caratteristici del pesce, sono infatti da molto tempo considerati uno dei mezzi per ridurre i rischi per il cuore, anche se non attraverso il classico meccanismo della riduzione dei livelli di colesterolo. Tuttavia, periodicamente si avanzano dubbi sull'efficacia di questo mezzo, sia che si tratti di assumere integratori (principalmente capsule di olio di pesce) sia che si tratti più semplicemente di conclusioni tratte da studi che esaminano gli effetti sulla popolazione del consumo di pesce.In effetti sugli Omega 3 si è scritto tantissimo: sono infatti quasi 15000 gli studi, gli abstract e le comunicazioni sul tema censiti da una revisione pubblicata dal British Medical Journal. La metanalisi ha cercato di determinare se, mettendo insieme i risultati degli studi più rigorosi, si poteva effettivamente notare un effetto di questi nutrienti sulla mortalità per tutte le cause e per quella dovuta a malattie di cuore. Ovviamente non tutte le migliaia di studi erano all'altezza, e i ricercatori hanno scelto 48 studi controllati e 41 studi di coorte. In queste ricerche si era esaminato sia l'effetto dei supplementi sia quello della dieta con forte consumo di pesce, tanto in pazienti a basso rischio quanto in pazienti ad alto rischio se non addirittura già vittime di un infarto o portatrici di insufficienza cardiaca.
I risultati, purtroppo, non sembrano significativi. L'effetto, se c'è, è molto modesto, e sembra essere più marcato in coloro che qualche guaio l'hanno già avuto. Anche isolando sottogruppi di studi, per esempio quelli che consideravano soltanto un particolare tipo di Omega 3, quelli a catena lunga, la situazione non variava significativamente. Anche l'ipotesi contraria, cioè che gli acidi grassi potessero invece peggiorare la situazione, per esempio associandosi a un aumento dei tumori, non trova conferma. Il perché di questo risultato controcorrente è difficile da individuare. Nel caso dell'apporto dietetico, per esempio, potrebbe pesare il fatto che il pesce grasso, quello più indicato a questo scopo, è quello nordico, che più risente dell'inquinamento da mercurio. Potrebbe anche essere che in realtà non siano i soli Omega 3 ad avere un effetto positivo, ma anche altre sostanze come la vitamina D, che nei supplementi non c'è. O ancora, che in realtà chi mangia pesce abitualmente appartenga a fasce socioeconomiche più colte, quindi avvantaggiate in fatto di stile di vita. Insomma, motivi possono esserne citati tanti.
Però, questo non toglie che alcuni studi particolarmente ben strutturati siano giunti a conclusioni differenti. Per esempio lo studio GISSI-P (dove P sta per prevenzione) ha dimostrato che i supplementi di acidi Omega 3 (1 grammo al dì) hanno ridotto sia la mortalità, sia gli infarti non fatali sia gli ictus. In dettaglio, le morti per malattia cardiovascolare sono calate del 30%. Il GISSI prevenzione ha coinvolto oltre 11000 persone anche se, va chiarito, si trattava di persone che già avevano subito un infarto. In definitiva, la metanalisi britannica indica che la prevenzione del primo infarto, attraverso questi supplementi, non è così probabile; d'altra parte, si ritiene che la raccomandazione di consumare più pesce e meno carne, che in Gran Bretagna è una indicazione ufficiale, resti valida ma richieda una verifica periodica dei dati. Resta il dubbio, però che con l'aumentare del numero delle ricerche ben fatte, il giudizio possa risultare più favorevole agli acidi grassi.
Maurizio Imperiali
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Numeri poco entusiasmanti
I risultati, purtroppo, non sembrano significativi. L'effetto, se c'è, è molto modesto, e sembra essere più marcato in coloro che qualche guaio l'hanno già avuto. Anche isolando sottogruppi di studi, per esempio quelli che consideravano soltanto un particolare tipo di Omega 3, quelli a catena lunga, la situazione non variava significativamente. Anche l'ipotesi contraria, cioè che gli acidi grassi potessero invece peggiorare la situazione, per esempio associandosi a un aumento dei tumori, non trova conferma. Il perché di questo risultato controcorrente è difficile da individuare. Nel caso dell'apporto dietetico, per esempio, potrebbe pesare il fatto che il pesce grasso, quello più indicato a questo scopo, è quello nordico, che più risente dell'inquinamento da mercurio. Potrebbe anche essere che in realtà non siano i soli Omega 3 ad avere un effetto positivo, ma anche altre sostanze come la vitamina D, che nei supplementi non c'è. O ancora, che in realtà chi mangia pesce abitualmente appartenga a fasce socioeconomiche più colte, quindi avvantaggiate in fatto di stile di vita. Insomma, motivi possono esserne citati tanti.
Eppure uno grande studio italiano...
Però, questo non toglie che alcuni studi particolarmente ben strutturati siano giunti a conclusioni differenti. Per esempio lo studio GISSI-P (dove P sta per prevenzione) ha dimostrato che i supplementi di acidi Omega 3 (1 grammo al dì) hanno ridotto sia la mortalità, sia gli infarti non fatali sia gli ictus. In dettaglio, le morti per malattia cardiovascolare sono calate del 30%. Il GISSI prevenzione ha coinvolto oltre 11000 persone anche se, va chiarito, si trattava di persone che già avevano subito un infarto. In definitiva, la metanalisi britannica indica che la prevenzione del primo infarto, attraverso questi supplementi, non è così probabile; d'altra parte, si ritiene che la raccomandazione di consumare più pesce e meno carne, che in Gran Bretagna è una indicazione ufficiale, resti valida ma richieda una verifica periodica dei dati. Resta il dubbio, però che con l'aumentare del numero delle ricerche ben fatte, il giudizio possa risultare più favorevole agli acidi grassi.
Maurizio Imperiali
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