11 marzo 2005
Aggiornamenti e focus
Cuore di donna meno protetto
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Se la qualità di una cura medica si vede dai risultati, quella offerta ai pazienti diabetici, in particolare alle donne, per ridurre il rischio cardiovascolare non è certo delle più adeguate. Nelle donne diabetiche infatti è stato registrato, in generale, un incremento di rischio di infarto del miocardio pari a cinque volte quello delle donne non diabetiche per le quali, per altro, il rischio si è abbassato del 27% negli ultimi dieci anni. Per contro nelle donne con il diabete è aumentato del 23%. Cioò ha un impatto notevole sulla mortalità di tale gruppo di pazienti, dal momento che le patologie cardiovascolari spiegano l'80% dei decessi in questa popolazione.
E' stata inoltre riscontrata un'insufficienza di dati relativi all'adesione alle linee guida della American Diabetes Association (ADA) orientate proprio al controllo dei fattori di rischio cardiovascolare. Per il diabete di tipo 2, sono stati riconosciuti come fattori di rischio, da uno studio anglosassone, l'ipertensione, l'iperglicemia, l'aumento del livello di lipoproteine a bassa densità (LDL), l'abbassamento del livello di lipoproteine ad alta densità (HDL) e l'abitudine al fumo. Sulla base di queste premesse è stato condotto uno studio di coorte che ha valutato, secondo i fattori di rischio riconosciuti, più di 3500 pazienti diabetici, uomini e donne, selezionati presso sette centri medici americani.Il risultato del confronto tra i due generi, purtroppo si allineava con le premesse: le donne con il diabete avevano esisti meno favorevoli rispetto agli uomini con la stessa patologia. Nella coorte considerata, solo il 28% dei soggetti riportava valori di pressione sanguigna inferiori a 180/30 mm Hg, il 48,8% quelli di colesterolo LDL inferiori a 100mg/dl e il 35,8% quello dell'emoglobina A1c (indice del controllo nel tempo della glicemia) inferiore al 7%.
Tali dati peggioravano se si consideravano solo le pazienti diabetiche, nonostante si mantenessero identici l'età, l'indice di massa corporea, la percentuale di ipertensione. Per esempio, la percentuale di donne (45,8%) che raggiungeva l'obiettivo per il colesterolo LDL era significativamente più bassa di quella degli uomini (51,3%). Inoltre una percentuale maggiore di donne aveva un'ipertensione allo stadio 2 (cioè severa) con valori superiori a 160/100 mm Hg. Tale discrepanza si ripeteva anche per lo screening per la retinopatia (54% contro 60%) e per la nefropatia (37% contro 49%). Non c'erano invece differenze nella porzione di pazienti che avevano pressione inferiore a 130/80 mm Hg ed emoglobina A1c entro la norma, come pure nell'uso di statine o degli ACE inibitori (farmaci usati per l'ipertensione).E' un dato di fatto, quindi, che i fattori di rischio cardiovascolare vengano trattati con maggiore aggressività negli uomini piuttosto che nelle donne e, rispetto ad altri studi che avevano valutato le strategie mediche all'inizio degli anni '90, non ci sono stati significativi miglioramenti. Tuttavia non si può attribuire totalmente l'insuccesso al fatto che il ricorso a cure efficaci è inadeguato, esiste comunque un'ipotesi secondo la quale i fattori di rischio cardiovascolare possano essere difficili da trattare nei pazienti diabetici, in particolare le donne, con gli strumenti attualmente disponibili.
Simona Zazzetta
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...e inoltre su Dica33:
Obiettivi da raggiungere
E' stata inoltre riscontrata un'insufficienza di dati relativi all'adesione alle linee guida della American Diabetes Association (ADA) orientate proprio al controllo dei fattori di rischio cardiovascolare. Per il diabete di tipo 2, sono stati riconosciuti come fattori di rischio, da uno studio anglosassone, l'ipertensione, l'iperglicemia, l'aumento del livello di lipoproteine a bassa densità (LDL), l'abbassamento del livello di lipoproteine ad alta densità (HDL) e l'abitudine al fumo. Sulla base di queste premesse è stato condotto uno studio di coorte che ha valutato, secondo i fattori di rischio riconosciuti, più di 3500 pazienti diabetici, uomini e donne, selezionati presso sette centri medici americani.Il risultato del confronto tra i due generi, purtroppo si allineava con le premesse: le donne con il diabete avevano esisti meno favorevoli rispetto agli uomini con la stessa patologia. Nella coorte considerata, solo il 28% dei soggetti riportava valori di pressione sanguigna inferiori a 180/30 mm Hg, il 48,8% quelli di colesterolo LDL inferiori a 100mg/dl e il 35,8% quello dell'emoglobina A1c (indice del controllo nel tempo della glicemia) inferiore al 7%.
Donne sfavorite
Tali dati peggioravano se si consideravano solo le pazienti diabetiche, nonostante si mantenessero identici l'età, l'indice di massa corporea, la percentuale di ipertensione. Per esempio, la percentuale di donne (45,8%) che raggiungeva l'obiettivo per il colesterolo LDL era significativamente più bassa di quella degli uomini (51,3%). Inoltre una percentuale maggiore di donne aveva un'ipertensione allo stadio 2 (cioè severa) con valori superiori a 160/100 mm Hg. Tale discrepanza si ripeteva anche per lo screening per la retinopatia (54% contro 60%) e per la nefropatia (37% contro 49%). Non c'erano invece differenze nella porzione di pazienti che avevano pressione inferiore a 130/80 mm Hg ed emoglobina A1c entro la norma, come pure nell'uso di statine o degli ACE inibitori (farmaci usati per l'ipertensione).E' un dato di fatto, quindi, che i fattori di rischio cardiovascolare vengano trattati con maggiore aggressività negli uomini piuttosto che nelle donne e, rispetto ad altri studi che avevano valutato le strategie mediche all'inizio degli anni '90, non ci sono stati significativi miglioramenti. Tuttavia non si può attribuire totalmente l'insuccesso al fatto che il ricorso a cure efficaci è inadeguato, esiste comunque un'ipotesi secondo la quale i fattori di rischio cardiovascolare possano essere difficili da trattare nei pazienti diabetici, in particolare le donne, con gli strumenti attualmente disponibili.
Simona Zazzetta
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