La tiroide è un bersaglio più facile

19 maggio 2006
Aggiornamenti e focus

La tiroide è un bersaglio più facile



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Quando si registra un’impennata nell’epidemiologia di una malattia possono essere successe due cose: o sono aumentati i fattori di rischio o è aumentata la sensibilità diagnostica. Nel caso dei tumori della tiroide, gli esperti propendono per la seconda ipotesi, e lo fanno sulla base di dati scientifici riferiti a una arco di tempo sufficientemente ampio: 30 anni. L’incidenza della patologia è praticamente raddoppiata (2,4 volte) passando da 3,6 (nel 1973) a 8,7 (nel 2002) casi per 100 mila abitanti.

Aumento reale o aumento apparente


Per capire come sono andate le cose hanno posto due ipotesi. Nel caso l’incremento fosse reale, dovrebbe interessare tutti gli stadi di evoluzione del tumore ed essere accompagnato da un aumento dei sintomi o della mortalità associata. Diversamente, la tendenza in aumento si dovrebbe spostare verso gli stadi precoci, quale risultato di una migliorata attività diagnostica, capace di individuare il tumore in fase iniziale. L’analisi dei dati raccolti, oltre a riscontrare un tasso stabile della mortalità, indicava che l’aumento era stato registrato soprattutto nelle forme tumorali molto piccole: l’87% erano di 2 cm o meno (il 45% di 1 cm o meno). Dati che rafforzano l’ipotesi di un miglioramento degli strumenti diagnostici, e quindi di un incremento di incidenza apparente, ed evitano allarmismi, nonché l’investimento di risorse per l’eliminazione dei possibili fattori di rischio.

Piccoli, ma da gestire


Una volta individuati, grazie agli strumenti diagnostici, si apre il capitolo della gestione dei noduli tiroidei. La maggioranza dei quali è asintomatica e non palpabile: nella popolazione americana solo il 4-7% dei noduli è palpabile, e vengono quindi evidenziati soprattutto con l’ecografia del collo. Gli studi di autopsia indicano una prevalenza che oscilla tra il 30 e il 60%, quelli clinici prospettici parlano di un range tra il 19 e il 67%. La prevalenza aumenta con l’età e nelle donne: uno screening tedesco su quasi 100 mila soggetti aveva registrato la presenza di noduli nel 13% delle donne e nel 9% degli uomini tra i 26 e i 35 anni, ma si raggiungeva il 45% e il 32% rispettivamente quando si superavano i 55 anni.
L’ecografia viene anche impiegata per il prelievo di campioni, mediante aspirazione con un sottile ago; la biopsia permette in questo modo l’identificazione dei tumori più piccoli di 1 cm, definiti per l’appunto, microcarcinomi. La questione che pone una sensibilità del genere è la scelta su come gestire la patologia e come distinguere quali pazienti necessitano davvero di un trattamento, quando invece sarebbe sufficiente un monitoraggio. Per esempio, nell’arco dei 30 anni si è osservato che il 75% dei pazienti con microcarcinomi si era sottoposto a rimozione totale della tiroide quando, invece, non si conosce il decorso che farà il nodulo identificato e quali pazienti necessitano veramente di trattamenti così aggressivi.

Quando le dimensioni contano

La letteratura scientifica fornisce le prove per credere che non tutti i piccoli tumori tiroidei siano statici e stabili, e questo, secondo gli autori dello studio, potrebbe aver portato a una cautela maggiore e quindi un eccesso di accertamenti diagnostici e di chirurgia non sempre necessari anche sui piccoli noduli maligni. Uno strumento per districarsi nella scelta è la dimensione della massa tumorale, perché è stato dimostrato che è un fattore predittivo, forte e indipendente, di esito della patologia. Le soglie fissate sono 1 cm per il carcinomi tiroidei papillari e 4 cm per quelli follicolari, superate queste la probabilità di eventi avversi aumenta statisticamente. Tuttavia non fornisce indicazioni sulla diffusione di metastasi, che vanno purtroppo ritrovate in dimensioni di inferiore ordine di grandezza, perché anche i più piccoli tumori ne sono responsabili. La soglia di rischio di metastatizzare è di 5 mm per i noduli papillari e di 20 mm per quelli follicolari, ma in ogni caso, l’estensione del tumore per quanto interessi una quota limitata di casi, in studi sufficientemente grandi non ha fatto registrare decessi. Si tratta, in definitiva, di una patologia non particolarmente maligna e generalmente con una prognosi favorevole, ciò non toglie che determina un certo tasso di mortalità specifica, di metastasi e di ricorrenza. Quindi anche se molti pazienti non necessitano di una terapia aggressiva, non sempre è facile individuare quelli che invece vanno trattati senza ritardi. Certo è che gli strumenti diagnostici forniscono un importante supporto per stabilire la sequenza da seguire. In primo luogo, l’ecografia in tutti i pazienti con e uno o più noduli sospetti, in seconda battuta ago-aspirato per la valutazione. Se le dimensioni superano 1-1,5 cm, quelli che hanno immagini ecografiche sospette dovrebbero essere sottoposti a biopsia, se sono intorno a 8-9 mm, e il soggetto presenta altri fattori di rischio, si dovrebbe procedere con l’ago-aspirato guidato da ecografia. Noduli più piccoli possono essere monitorati negli anni senza ricorrere al prelievo se non crescono di dimensioni.

Simona Zazzetta



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